«Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere»
Λύσατε τὸν ναὸν τοῦτον καὶ ἐν τρισὶν ἡμέραις ἐγερῶ αὐτόν
(Gv 2,19)
Al di là del contesto veemente in cui Gesù proferisce queste parole – e anche della totale incomprensione dei Giudei rispetto ad esse, dal momento che intendono “il tempio” che Gesù farà risorgere come quello fatto di pietre, per la cui costruzione ci sono voluti 46 anni – un particolare teologico emerge da una rilettura di esse. Lo stesso evangelista Giovanni ci aiuta in modo previo, intervenendo con una delle sue “spiegazioni” interne al testo, che sono frequenti nel suo Vangelo. Egli dice: “Egli parlava del tempio del suo corpo” (2,21: ἔλεγεν περὶ τοῦ ναοῦ τοῦ σώματος αὐτοῦ).
E del suo stesso corpo, Gesù non dice: “In tre giorni Dio lo farà risorgere”, bensì: “Io lo risorgerò” (2,19: ἐγερῶ αὐτόν).
Sebbene non capiscano il senso delle sue parole, Gesù dà ai suoi interlocutori una chiara affermazione della sua uguaglianza con Dio, il quale è l’unico a poter dare vita ai morti. In un certo senso, quindi, sin dall’inizio del Vangelo di Giovanni viene evocata anticipatamente quella potestà di Gesù, sulla vita e sulla morte, che al momento della risurrezione di Lazzaro sarà esplicitamente formalizzata con un linguaggio apodittico: “Io sono la risurrezione e la vita” (11,25).
Considerato secondo questa linea teologica dell’identità di Gesù, allora lo stesso suo invito ai Giudei affinché “distruggano pure il tempio del suo corpo”, rivolta la stessa capacità umana di uccidere Gesù – cosa del resto affermata da Gesù stesso dinanzi a Pilato: “Quale potere avresti…”. Infatti, se Gesù è colui che può dare la vita ai morti e risorgere anche se stesso, allora anche il potere di togliergli la vita, in senso umano, appartiene unicamente a lui. Da qui si coglie dall’inizio del Vangelo di Giovanni il senso donale di se stesso di Gesù rispetto alla sua vita umana. Amen
Amen
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