Dalla lettera di san Paolo VI “Lumen ecclesiae” (1974), per il 7° centenario della morte di S. Tommaso d’Aquino

The Life of St. Thomas Aquinas and His Greatest Work - OnePeterFive

Dalla lettera di san Paolo VI “Lumen ecclesiae” (1974), per il 7° centenario della morte di S. Tommaso d’Aquino – Qui il rapporto fra ragione e fede (I,8-9):

“[…] Il punto centrale e quasi il nocciolo della soluzione che egli diede al problema del nuovo confronto tra la ragione e la fede con la genialità del suo intuito profetico, è stato quello della conciliazione tra la secolarità del mondo e la radicalità del Vangelo, sfuggendo così alla innaturale tendenza negatrice del mondo e dei suoi valori, senza peraltro venir meno alle supreme e inflessibili esigenze dell’ordine soprannaturale. Tutta la costruzione dottrinale di San Tommaso è infatti fondata su quell’aureo principio, da lui enunciato fin dalle prime pagine della Summa Theologiae, secondo il quale la grazia suppone e perfeziona la natura e la natura si subordina alla grazia, la ragione alla fede, l’amore umano alla carità. Tutta l’ampia sfera di valori in cui si sviluppa l’impulso vitale della natura umana – essere, intelligenza, amore – è supposta e penetrata di energie nuove dall’infusione della grazia, che è principio di vita eterna. Così la stessa perfezione completa dell’uomo naturale si attua – attraverso un processo di purificazione redentiva e di elevazione santificatrice – nell’ordine soprannaturale, che ha il suo definitivo compimento nella beatitudine celeste, ma che già in questa vita dà luogo a una armonica composizione di valori, difficile da attuare come la stessa vita cristiana, ma affascinante. 9. Si può dire che superando una certa fase di esagerato soprannaturalismo delle scuole medioevali, e insieme resistendo al secolarismo che si diffondeva nelle scuole europee mediante la versione naturalistica dell’aristotelismo, Tommaso seppe mostrare – in sede di teoria della cultura e con la pratica attuazione del suo lavoro scientifico – come si uniscano nel pensiero e nella vita l’assoluta fedeltà alla Parola di Dio e la massima apertura al mondo e ai suoi valori, lo slancio dell’innovazione e del progresso e la fondazione d’ogni costruzione sul terreno solido della tradizione. Egli, infatti, non solo si preoccupò di conoscere le nuove idee, i nuovi problemi, le nuove proposte e contestazioni della ragione di fronte alla fede, ma anche di investigare il contenuto, anzitutto, della Sacra Scrittura, che spiegò fin dai primi anni del suo insegnamento a Parigi, dei Padri e scrittori cristiani, della tradizione teologica e giuridica della Chiesa, e insieme di ogni filosofia precedente e contemporanea, non solo aristotelica, ma anche platonica, neo-platonica, romana, cristiana, araba, giudaica, senza pretendere di operare una rottura col passato, la quale lo avrebbe privato della sua radice; si può dire che egli avesse assimilato questa massima di San Paolo: non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te (Rom. 11, 18). Per questa stessa ragione egli fu fedelissimo al Magistero della Chiesa, che custodisce e determina la regola della fede per tutti i credenti, e prima di tutto per i teologi, in forza della istituzione divina e dell’assistenza assicurata da Cristo ai Pastori del suo gregge. Ma, soprattutto nel Magistero del Pontefice Romano egli riconosceva la definitiva autorità direttiva e risolutrice delle questioni riguardanti la fede (14), e, proprio per questo, al suo giudizio, in punto di morte, forse perché consapevole dell’ampia e ardita azione innovatrice da lui svolta, sottomise tutta la propria opera […]” (S. Paolo VI, Lettera Lumen Ecclesiae, 1974)

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