Due frasi che sembrano opporsi reciprocamente, di due grandi profeti, ma che invece sono entrambe reali e vanno colte secondo il loro senso

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Due frasi che sembrano opporsi reciprocamente, di due grandi profeti, ma che invece sono entrambe reali e vanno colte secondo il loro senso.
La prima è di Geremia:

“Anche se tu ti lavassi con soda e molta potassa,
resterebbe davanti a me la macchia della tua iniquità” (2,22).

La seconda, invece, è di Isaia:

«Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (1,18)

Come si vede, in apparenza, i due profeti sembrano dire l’uno il contrario dell’altro, e questo in nome di Dio. Il lettore disattento ne può derivare che Dio stesso si contraddica. Dove la sua misericordia, in Geremia? Dove la sua giustizia, in Isaia?
Se le due frasi non vengono contestualizzate – come sempre è necessario nella Bibbia – esse non si intendono. Le parole di Geremia sono infatti estrapolate dal contesto della lunga “apologia” che Dio stesso dà di sé per mezzo del profeta, davanti al suo popolo e alla sua condotta reiteratamente e, ormai irreversibilmente, oscena e idolatrica: “Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri, per allontanarsi da me? Essi seguirono ciò che è vano, diventarono essi stessi vanità…Io vi ho condotti in una terra da giardino… ma voi appena entrati avete contaminato la mia terra, avete reso il mio possesso un abominio…I pastori mi si sono ribellati, i profeti hanno predetto nel nome di Baal… Il mio popolo ha cambiato la sua gloria, con un essere inutile e vano…La tua stessa malvagità ti castiga, le tue ribellioni ti puniscono…Io ti avevo piantata come vigna scelta… come mai adesso ti sei mutata in tralci degeneri…?” (cf. Ger 2).
Come si vede, il contesto nel quale il profeta espone il suo discorso è quello di un inevitabile castigo divino autoprodotto dalla condotta del suo popolo, reiterata e ostinata. Di qui le parole suddette: “Anche se tu ti lavassi con soda e molta potassa,
resterebbe davanti a me la macchia della tua iniquità” (2,22).
Ciò non implica l’eternità dell’ira divina, ma l’irreversibilità del castigo acquisito dalle colpe del suo popolo. La misericordia di Dio, infatti, non muta, e più tardi, ma solo dopo il castigo, giungerà anche per Israele: “Non ti mostrerò la faccia sdegnata, perché io sono pietoso, dice il Signore. Non conservo l’ira per sempre” (cf. Ger 3,12).
Molto distinto è invece il contesto delle parole di Isaia, che apparentemente danno un volto immediatamente misericordioso di Dio: “Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (Is 1,18). In realtà, qui il contesto è di natura preventiva, nel senso che Dio esorta anticipatamente – proprio perché non debba essere utilizzato il linguaggio severo di Geremia – il suo popolo al mutamento di condotta, facendogli presente che è meglio esporre il peccato, fosse pure come porpora, e diverrebbe bianco come lana. E come Geremia, dopo l’evocazione aspra del castigo divino, evoca successivamente la misericordia celeste, così Isaia, ma inversamente, dopo aver evocato l’infinita misericordia di Dio, nelle pagine seguenti del suo libro, sferra l’annuncio del castigo di Dio, considerata la non mutata condotta del suo popolo: “Stenderò la mano su di te, purificherò le tue scorie” (Is 2,25s).
Amen

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Pubblicato da lacasadimiriam

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