“Non conosco uomo” (Lc 1,34)
(Dal libro di Padre G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Rizzoli, Milano 1941, pp. 257-262, nn. 231-233)
231. “Presso i Giudei il matrimonio legale si compiva, dopo alcun trattative preparatorie, con due procedimenti successivi, che erano il fidanzamento e le nozze. Il fidanzamento (ebr. qiddūshīn o ’erūsīn) non era, come presso di noi oggi, la semplice promessa di futuro matrimonio, bensì era il perfetto contratto legale di matrimonio, ossia il vero matrimonium ratum: quindi la donna fidanzata era già moglie, poteva ricevere la scritta di divorzio dal suo fidanzato-marito, alla morte dì costui diventava regolarmente vedova, e in caso d’infedeltà era punita come vera adultera conforme alla norma del Deuteronomio, 22,23-24; questo stato giuridico è riassunto con esattezza da Filone quando afferma che presso i Giudei, contemporanei di lui e di Gesù, il fidanzamento vale quanto il matrimonio (De special. leg., III,12). Compiuto questo fidanzamento-matrimonio, i due fidanzati-coniugi restavano nelle rispettive famiglie ancora per qualche tempo, che di solito si protraeva fino a un anno se la fidanzata era una vergine e fino a un mese se era una vedova: questo tempo era impiegato nei preparativi per la nuova casa e per l’arredo familiare. Fra i due fidanzati-coniugi non avrebbero dovuto avvenire, a rigore, relazioni matrimoniali; ma in realtà queste avvenivano comunemente, come infatti attesta la tradizione rabbinica (Ketubōth, 1,5; Febamōth, IV,10; bablī Ketubōth, 12a; ecc.), la quale informa anche che tale disordine si riscontrava nella Giudea ma non nella Galilea.
Le nozze (ebr. nissū’īn) avvenivano quand’era trascorso il tempo suddetto, e consistevano nell’introduzione solenne della sposa in casa dello sposo: cominciava allora la coabitazione pubblica, e con ciò le formalità legali del matrimonio erano compiute. Generalmente il fidanzamento di una vergine avveniva quando essa era in età fra i 12 e i 13 anni, ma talvolta anche alquanto prima: quindi le nozze, in conseguenza di quanto si è visto sopra, cadevano di solito fra i 13 e i 14 anni. Tale era probabilmente l’età di Maria all’apparizione dell’angelo. L’uomo si fidanzava fra i 18 e i 24, e perciò questa doveva essere l’età di Giuseppe.
Concludendo, sappiamo da Luca che Maria era una vergine in questa condizione di fidanzata; inoltre, da Matteo1,18, apprendiamo che ella divenne gravida prima che andasse a coabitare con Giuseppe, cioè prima delle nozze giudaiche. Alla luce di queste notizie, quale significato hanno le sue parole rivolte all’angelo: “Come sarà ciò, poiché non conosco uomo”?
232. Prese isolatamente in se stesse, non possono avere che uno di questi due sensi:
1) o richiamare alla memoria la nota legge di natura per cui ogni figlio presuppone un padre;
2) oppure esprimere per il futuro il proposito di non sottoporsi a questa legge e quindi di rinunziare alla figliolanza.
Un terzo senso, per quanto ci si pensi, non è dato scoprirlo.
Ora, in bocca a Maria, fidanzata giudea, le parole in questione non possono avere il primo di questi due sensi, perché sarebbero state di una puerilità sconcertante, tale da costituire un vero non-senso; a chi avesse espresso un pensiero di tal genere, se era una fidanzata giudea, era facile replicare: “Ciò che non è avvenuto fino ad oggi, può avvenire regolarmente domani”.
È quindi inevitabile il secondo senso, nel quale il verbo “non conosco” non si riferisce soltanto alle condizioni presenti ma si estende anche alle future, esprimendo cioè un proposito per l’avvenire: tutte le lingue, infatti, conoscono questo impiego del presente esteso al futuro, tanto più se tra presente e futuro non cade interruzione e se si tratta di uno stato sociale (non mi sposo; non mi faccio avvocato, ecc.). Se Maria non fosse stata una fidanzata-coniuge le sue parole, un po’ forzatamente, avrebbero potuto interpretarsi come un implicito desiderio di avere un compagno nella propria vita: ma nel caso effettivo di Maria il compagno già c’era, legittimo e regolare; quindi, se l’annunzio dell’angelo avesse dovuto avverarsi in maniera naturale, non esisteva alcun ostacolo. E invece l’ostacolo esisteva: era rappresentato da quel “non conosco”, che valeva come un proposito per il futuro, e che giustificava pienamente la domanda “come sarà ciò?”. L’unanime tradizione cristiana, che ha interpretato in tal senso il “non conosco”, ha battuto una strada che è certamente la più agevole e facile ma anche l’unica ragionevole e logica.
Se però Maria aveva fatto il proposito di rimanere vergine, perché aveva in precedenza acconsentito a contrarre il giudaico fidanzamento-matrimonio? Su questo punto i Vangeli non offrono spiegazioni, ma se ne possono trovare riportandosi alle usanze giudaiche contemporanee. Certamente nell’antico ebraismo lo stato celibe o nubile non era affatto apprezzato, e la principale preoccupazione familiare era la figliolanza e più numerosa possibile: la mancanza di figli era reputata una maledizione di Dio (Dt 7,14). Si conoscono soltanto, fra gli uomini, l’antico caso del profeta Geremia rimasto celibe per dedicarsi totalmente alla sua missione di profeta (Ger 16,2ss.) e ai tempi di Gesù il caso degli Esseni, che contraevano matrimonio solo eccezionalmente o forse mai. Quanto alle donne, non si saprebbe che caso citare; la donna senza marito e senza figli era per gli Ebrei un essere lugubre. Allorché San Paolo incidentalmente ci fa sapere che c’erano padri i quali reputavano indecoroso avere in casa figlie da marito tutt’ora nubili (cfr. 1Cor 7,36), non fa che confermare quanto già aveva detto il Siracide, secondo cui un padre non riesce a prendere sonno la notte perché ripensa a sua figlia che si fa anziana senza trovare marito (Sir 42,9), e quanto più tardi diranno le fonti rabbiniche, secondo cui bisogna far sposare la propria figlia appena in età da marito. La donna senza marito era per gli Ebrei come una persona umana senza testa, “perché l’uomo è la testa della donna” (Ef 5,23): e come pensavano in questa maniera gli Ebrei e in genere gli altri Semiti antichi, così pensano ancora oggi gli Arabi, fra cui vige il proverbio che per una ragazza non c’è che un solo corteo, o quello nuziale o quello funebre.
233. Cedendo dunque a questa tirannica usanza comune, Maria si era fidanzata; ma il suo stesso proposito, così fiduciosamente obiettato all’angelo, illumina di riflesso anche la disposizione del suo fidanzato Giuseppe, il quale non sarebbe stato mai accettato come fidanzato se non avesse deciso di rispettare il proposito di Maria: la disposizione di Giuseppe, poi, trova un bel parallelo storico nel celibato degli Esseni sopra ricordato.
Più in là di questo i Vangeli non dicono; ma come il proposito di Maria risulta nitidamente dalle sue parole, così le altre conseguenze risultano da una conoscenza anche superficiale delle usanze contemporanee. È quanto già aveva scorto sant’Agostino con la sua abituale perspicacia, quando scriveva: “Ciò indicano le parole con cui Maria rispose all’angelo che le annunciava un figlio: “Come” disse “sarà ciò, poiché non conosco uomo?”. Il che certamente non avrebbe detto se già dapprima non avesse fatto voto di sé come vergine a Dio. Ma poiché le costumanze degli Israeliti ancora non ammettevano ciò, ella si sposò con un uomo giusto, il quale avrebbe, non già tolto via con violenza, bensì custodito contro i violenti ciò di cui ella già aveva fatto voto” (De Sancta Verginitate, 4).
Alla segreta intenzione delle parole di Maria si riferisce l’angelo nella sua replica. E rispondendo l’angelo le disse: “Lo Spirito Santo sopravverrà su di te, e la potenza dell’Altissimo adombrerà su di te; perciò anche il Nato santo, sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). La questione proposta da Maria, “come avverrà ciò?” è così risolta, e insieme il suo proposito è salvaguardato. La potenza di Dio scenderà direttamente su Maria, e come anticamente nel deserto la gloria di Jahvé si posava a guisa di nuvola sul tabernacolo ebraico adombrandolo (Es 40,34-35), così adombrerà questo tabernacolo vivente di vergine, e il Figlio che da lei nascerà non avrà altro Padre che Dio. Questo Figlio avvererà in sé l’appellativo di “Figlio di Dio” in maniera perfetta, mentre ad altri personaggi dell’Antico Testamento lo stesso appellativo era stato applicato in maniera incompiuta. Il Messia non avrebbe potuto essere chiamato Figlio se non da Dio che gli dava la natura umana: nessun’altra creatura umana l’avrebbe chiamato, a rigore di termine, con quel nome”.
Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam Torino (Studi Biblici)