Alla domanda “chi è il più grande nel regno dei cieli?” – fatta dai suoi stessi discepoli, Gesù avrebbe anche potuto non rispondere, per due buoni motivi: la domanda aveva infatti il sapore di una curiosità, piuttosto che non di vero desiderio di conoscenza, e in secondo luogo contraddiceva, nella forma in cui è stata posta, l’insegnamento di Gesù riguardo l’umiltà. Gesù tuttavia ha risposto, ma non in maniera diretta, bensì servendosi di una mediazione, ossia la mediazione di quel fanciullo chiamato innanzi a sé. In tal senso, per rivelare chi fosse davvero “il più grande” nel regno dei cieli, Gesù si è servito dell’immagine di chi è “il più piccolo” nel regno della terra. Ha dunque risposto alla domanda attraverso una concatenazione di elementi tra loro oppositivi, dove la grandezza concepita dai discepoli viene disattesa nella forma della piccolezza del fanciullo. Ma non si tratta solo di un ribaltamento formale della “grandezza” immaginata dai discepoli nel regno dei cieli. Nella risposta di Gesù è contenuta anche una correzione linguistico-numerica. I discepoli domandano infatti “chi è il più grande?” come a presupporre una scala gerarchica al cui apice, alla maniera regale, vi sia qualcuno, per potere e grandezza. Gesù nell’esempio del fanciullo ridimensiona questa “singolarità” del più grande, dal momento che, se “chiunque diverrà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”, allora quell’essere “più grande” non riguarda una persona unica – come l’avevano pensata i discepoli – ma una collettività, una comunione di persone unite dall’aver imitato, nella loro condizione spirituale, la semplicità di quel fanciullo.
Amen
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