Possessione e santità: la storia vera di Lucrezia Bellini (Beata Eustochio)

Possessione e santità: la storia vera di Lucrezia Bellini (Beata Eustochio)

– di Francesco Gastone Silletta – “Circola Voce” – Trimestrale d’informazione religiosa © Edizioni La Casa di Miriam

Il concetto di santità, attraverso la testimonianza dell’esistenza cristiana della Beata Eustochio (al secolo Lucrezia Bellini) può ricevere un privilegiato canale di approfondimento, rivelandosi suscettibile di una più ampia e meno omogenea caratterizzazione di significato. La storia della Beata Eustochio si caratterizza sin dal principio per una profonda connotazione di sofferenza e di esperienza dell’interferenza diabolica, a tal punto condizionante la propria economia esistenziale da rendere per certi aspetti misteriosa, eppure immensamente affascinante, la sua figura ed il suo privilegiato ideale di santità. La sua stessa nascita, avvenuta a Padova nel 1444, sembra prefigurare una spirale di dolore che inseguirà l’intera estensione della sua vita successiva.
Lucrezia, infatti, nasce da un adulterio consumato dal padre, Bartolomeo Bellini, in compagnia di una giovane monaca del Monastero benedettino di San Prosdocimo, presso Padova, a quel tempo famoso per la rilassatezza dei costumi e della moralità. Odiata dalla matrigna in quanto segno visibile del tradimento del padre, di fatto Lucrezia verrà ben presto mal vista anche da quest’ultimo, che nel 1451 la affiderà nientemeno che alle “cure” dello stesso Monastero benedettino, ben lungi da un proposito di educandato religioso per la figlia bensì piuttosto per una sua mondanizzazione prematura. Il condizionamento genitoriale avrà un peso specifico di prim’ordine nell’esistenza futura di Lucrezia, il cui esatto parametro di comprensione può essere (parzialmente) illustrato unicamente attraverso una rilettura a-posteriori della sua intera e soffertissima esistenza.
Lucrezia, infatti, esperisce sin dalla più tenera età, addirittura a soli 4 anni, una prematura esperienza del demonio e della sua nefasta attività ossessiva, la cui particolare intensità si manifesta attraverso singolari riferimenti psico-somatici faticosamente suscettibili di una onesta interpretazione. Da alcuni indicata come “posseduta”, ella vive profondi dolori ed esperienze di disturbi demoniaci, anche sulla scorta del comportamento del padre, indotto a credere, forse proprio su istigazione del demonio, che la piccola bambina progetti di ucciderlo a breve.
I fatti moralmente incresciosi avvenuti dentro il Monastero di san Prosdocimo, tuttavia, non sfuggono all’attenzione del Vescovo di Padova, Iacopo Zeno. Le monache conducono una vita immorale, escono frequentemente dal Monastero e disobbediscono formalmente alla Badessa, che a suo modo cerca di temperare un dato malcostume ormai manifestamente reso pubblico. Per questa ragione ella viene addirittura avvelenata da alcune monache, incontrando così prematuramente la morte. L’intervento disciplinare del Vescovo si fa sentire come un pesante fardello su quel Monastero. La morte della Badessa in un certo modo può considerarsi come la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Egli vieta una nuova nomina in sostituzione della precedente Badessa, evitando così che qualcuna delle monache attualmente presenti in quel Monastero ne prenda ignominiosamente in mano le redini. Piuttosto, egli fa trasferire in quel Monastero alcune altre monache ben più disciplinate e rigorose rispetto all’osservanza religiosa. Le precedenti monache, in balia della corruzione e del peccato, abbandonano in massa quel Monastero, timorose dei nuovi sviluppi e tornando ad una vita mondana.
In questo triste scenario l’esperienza della piccola Lucrezia si è evoluta fra santità e dolore. Rimasta illibata rispetto all’andirivieni di immoralità vigente in quel Monastero e non sedotta dal cattivo esempio delle monache, Lucrezia è l’unica persona a non abbandonare quel luogo in seguito ai provvedimenti ed ai nuovi sviluppi canonici che lo riguardano, decidendosi anch’ella, pur con tutta un’altra mozione spirituale, di entrare a far parte dell’ordine benedettino come monaca. Il problema, per l’aspirante benedettina, riguarda un duplice ordine di significato in seno alla propria vocazione. La nuova leva di suore poste in quel monastero in sostituzione delle precedenti, infatti, teme nella giovane una sospetta e pericolosa partnership con il malcostume di coloro che hanno macchiato d’infamia quel Monastero con la loro cattiva condotta. La triste storia delle sue origini, inoltre, non crea un felice presupposto, agli occhi delle nuove suore, in ordine alla propria vestizione benedettina. Pur tuttavia, l’agognato desiderio si compie per accettazione del Vescovo il 15 gennaio 1461, data in cui Lucrezia veste l’abito monacale con il nome di “Eustochio”. La scelta di questo nome così singolare, da altri reso con “Eustochia”, riguarda la profonda ammirazione che Lucrezia nutre per San Girolamo e per la sua discepola e collaboratrice, il cui nome era per l’appunto “Eustochio” (santa, memoria liturgica il 28 settembre), e che seguì il Santo nei suoi trasferimenti fondamentali e collaborò attivamente con lui, in quanto esperta conoscitrice del latino, del greco e dell’ebraico, alla traduzione della Bibbia (Volgata).
Il tempo della sua vestizione monacale, dal suo primo sorgere, è per Lucrezia (di seguito, Eustochio) un tempo terribile e sconcertante. La sua testimonianza di vita in questo contesto riguarda per certi aspetti un singolarissimo riferimento nell’economia dei santi. Il diavolo infatti la perseguita ed affligge in una maniera oltremodo significativa, sino ad insediarsi in lei nei termini espliciti della possessione. La sua fede in Cristo, profonda e sincera, viene violentemente traumatizzata dall’influsso demoniaco, che la conduce a compiere atti al di fuori della propria cognizione di causa e assolutamente distanti dalla propria referenza comportamentale. La pregiudiziale nei suoi riguardi, correlata alle sue origini, viene così inesorabilmente a crescere tra le monache, sino a tramutarsi in astio completo e desiderio di morte, soprattutto alla luce di alcuni suoi strani comportamenti, talvolta così esteriormente eccessivi, che riguardano in particolare il primo periodo successivo alla sua vestizione monacale. In questo frangente risultano essere due “Girolamo” gli unici avvocati della giovane monaca: da una parte il Santo, suo protettore, che ostacola e compromette l’azione del demonio su di lei, dall’altra l’omonimo suo confessore e direttore spirituale del Monastero, Girolamo Salicario, il quale riconosce la presenza del diavolo dietro il suo comportamento e non manca di rivolgerle diversi esorcismi.
La situazione tuttavia assume una coloritura drammatica in seguito ad un fatto triste che ha per protagonista la nostra Eustochio, occorso proprio l’indomani della festa di San Girolamo, nel 1461. Mossa dal demonio, Eustochio minaccia con un coltello le altre consorelle. Solo la mediazione del confessore esorcista ha permesso di salvaguardare, sino a un certo punto, l’immagine e la reputazione di Eustochio, sviscerando come ella fosse posseduta dal diavolo ed al contempo protetta, per rivelazione dello stesso demonio, da San Girolamo. Pur tuttavia, Eustochio viene legata ad una colonna per alcuni giorni, trattata come una strega e ormai malvista da tutti. Un’ulteriore accusa, poi, rende definitivamente deleteria la sua reputazione, non soltanto dentro il Monastero, bensì anche nell’ambiente cittadino di Padova. Ella viene infatti accusata di avvelenamento della Badessa, improvvisamente ammalatasi gravemente, e di atti satanici perpetrati contro di lei.
Come facile supporre, non tarda a pervenire nei suoi riguardi, alla luce del disagio prodotto in quel Monastero, la referenza del Vescovo, il quale ordina che la giovane monaca venga allontanata e tenuta in carcere, con l’accusa di stregoneria. Eustochio viene mantenuta a pane e acqua per un tempo prolungato, addirittura lasciata totalmente a digiuno ogni tre giorni. Tormentata dal diavolo anche nel contesto penitenziale del carcere, la giovane monaca viene punta da vespe, sistematicamente oltraggiata dal demonio in seno al proprio ideale di purezza attraverso immagini e proposizioni oscene, offesa ed ingiuriata persino dalle monache di custodia e costantemente provocata rispetto all’abbandono della propria vocazione monastica.
Il problema di Eustochio, la cui natura riguarda chiaramente l’ordine preternaturale, non interpella ormai più soltanto il Monastero. Molti cittadini di Padova, infatti, avuta notizia di quanto accade in quel “santo” luogo, prendono aggressivamente le distanze dalla monaca e, sapendola rinchiusa nel carcere, la additano come una strega e ne chiedono la morte immediata, addirittura senza alcuna possibilità di giudizio formale.
La prigionia forzata di Eustochio dura un tempo di tre mesi, nel corso dei quali il confessore cerca con ogni mezzo di riqualificarla nel contesto del monastero e agli occhi della Badessa, sottolineando costantemente l’oppressione diabolica che sgomenta la povera Eustochio e la sua completa innocenza rispetto a quanto sulla sua stessa carne viene ad accadere. Pur tuttavia, il diavolo non depone le sue armi contro la povera monaca, cercando di convincere la stessa Badessa, apparendole sotto mentite spoglie, a farla uscire definitivamente dal convento, pur proponendole buone aspirazioni future. Una vita mondana, con un lascito economico, viene così proposta ad Eustochio, che pur tuttavia rifiuta coraggiosamente tale offerta, rivendicando la fondatezza della propria adesione alla vocazione monacale. Neppure l’ulteriore proposta di un trasferimento monasteriale, anche questa di satanica ispirazione, smonta la volontà ferrea di Eustochio a rimanere entro quel preciso Monastero, rispetto al quale ha deposto sin dal principio la propria aspirazione religiosa.
Sicché Eustochio viene finalmente portata via da quel carcere e posta in infermeria. La speranza, intrinseca a questa viscida manovra di trasferimento, riguarda la possibilità che rimanendo a contatto con i malati anche Eustochio venga contagiata.
A questa esperienza segue finalmente quella della agognata “libertà”, ammesso che possa essere utilizzata questa espressione considerate le varie imposizioni che le vengono imposte in ordine alla sua permanenza in quel Monastero. Per esempio, non le viene concesso di interloquire o di incontrarsi con le altre monache, non è autorizzata ad incontrarsi neppure con i parenti, le è vietato persino partecipare alle funzioni liturgiche. Nulla che somigli ad un comportamento umano viene riservato a lei.
Eustochio pur tuttavia è una donna di incrollabile fede e preghiera. La sua decisione salda per Gesù, la sua donazione d’amore anche alle persone che più la odiano e ne invocano la morte, fa di lei un nemico acerrimo per il demonio, che con instancabili e tremendi assalti cerca di fiaccarne ogni possibile resistenza umana. Flagellazioni a sangue, incisioni con lame sulla carne, bastonate, botte, immersioni o bagni in acqua gelida, tormenti estrinseci correlati all’alimentazione sono alcuni dei patimenti sopportati da Eustochio. Un palese fenomeno di possessione riguarda l’attualità in cui, condotta dal demonio su un’altura in ferro, viene minacciata di precipitare giù qualora non rinneghi il Cristo. Anche in questa occasione si rivela determinante la preghiera di liberazione del confessore Girolamo, in seguito alla quale, per intercessione del Santo omonimo, il diavolo è duramente punito per il danno arrecato alla giovane Eustochio. Pur tuttavia la sua azione di disturbo su di lei pare incessante ed ogni volta più arguta e destabilizzante.
Una delle più tristi e dolorose situazioni in cui Eustochio si vede aggredita dall’odio di Satana, e che di lei testimonia la profondità del suo amore per Gesù, riguarda una provocazione che potremmo definire quasi eccessiva. Il diavolo le si mostra con un coltello e minaccia di squartarla, con la solita richiesta di dimenticare la propria fede in Cristo come prezzo di liberazione. Eustochio invece accetta la minaccia del dolore, pur tuttavia dicendo al demonio di incidere su di lei, con quella lama, il nome di Gesù (IHS). Quando alcuni anni più tardi Eustochio morirà, alcune consorelle, incaricate della pulizia del suo corpo, rinverranno sulla sua carne questa incisione.
Alle vessazioni del demonio, Eustochio risponde con l’intensa preghiera, profondi ed ininterrotti digiuni ed una vita tutta di penitenza. In pratica aggiunge di per se stessa, con un rigore ed un’austerità sua propria, ulteriore sofferenza al suo corpo già tanto segnato dal male. Progressivamente il cuore delle altre monache tende ad impietosirsi nei suoi riguardi, sino a ricevere un nuovo e diverso orientamento di misericordia e di comprensione per lei. La monaca Eustochio si manifesta nell’ambiente monasteriale ormai sempre più secondo l’ordine di quella intrinseca santità così pesantemente offesa e contrastata dall’agire del demonio. Alcuni testimoniano addirittura come Satana abbia cercato, non senza alcuni brevi successi, di confondere anche l’animo del suo confessore, Girolamo, rispetto all’ascolto ed alla cura della sua direzione spirituale, talvolta insinuandogli un senso di distaccamento rispetto a quanto Eustochio gli raccontava di sé e degli assalti ricevuti.
Gli anni successivi sono quelli che conducono Eustochio verso la morte, avvenuta il 13 febbraio del 1469, al’età di 25 anni. Eustochio non è sola, in punto di morte. Si rivolge alla Badessa e alle consorelle come una penitente che si scusa per il disturbo arrecato con le proprie vicende umane. Le presenti si accorgono della santità di Eustochio, testimoniata anche dalle tante grazie e dai miracoli avvenuti immediatamente dopo la sua morte. Dopo quattro anni dalla sua morte, ad esempio, durante la riesumazione del corpo viene a crearsi in loco, improvvisamente e di per se stessa, una sorgente d’acqua, la quale si rivela prodigiosa ed operatrice di miracoli e guarigioni. Tale sorgente si esaurirà soltanto con la soppressione del Monastero, molto tempo dopo.
Per come si è svolta la sua esistenza, per la sua continua battaglia contro il diavolo e la sua incrollabile fede in Cristo, Eustochio viene invocata in difesa dei posseduti, dei vessati e delle persone ossesse o travagliate dal demonio. Alcuni prodigi di liberazione sono accertati anche dalla più recente bibliografia su di lei.

Preghiera alla Beata Eustochio:

O potente nostra avvocata Beata Eustochio, tu fosti suscitata fra noi da Dio, per essere un luminoso modello di virtù, soprattutto di straordinaria pazienza. La tua vita, segnata dalla Croce, ne è prova evidente. Prega ora per noi. Ottienici, ti preghiamo, la grazia di camminare sulla scia dei tuoi esempi e di considerare le tribolazioni e le sofferenze di questa vita come un dono che ci viene dalla mano paterna di Dio, per il nostro vero bene. Fa’ che abbracciamo, a tua imitazione, con pace e fiducia, le sofferenze della nostra vita, certi di essere un giorno premiati dal Dio della pazienza e della consolazione. Sia Egli stesso l’abbondante ricompensa, per quanti si sottomettono volentieri alle sue amabilissime disposizioni. Amen.
Pater – Ave – Gloria

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