L’annunciazione a Maria e quella a Zaccaria

L’annunciazione a Maria e quella a Zaccaria

Blessed-Virgin-Mary-Mothe-of-Innocence

Nonostante l’osservazione posta in essere da molti esegeti, i quali giustamente, osservando la sezione di Lc 1,1-2,52, rilevano come  “il materiale è stato organizzato mediante la tecnica letteraria della synkrisis o parallelo tra le figure protagoniste”[1] (Giovanni il Battista e Gesù), è pur vero che questo parallelismo trova la propria soluzione di continuità a motivo della mediazione che la figura di Maria esercita al suo interno. Maria, infatti, è presente sia nell’economia della nascita del Battista, sia ovviamente in quella di suo Figlio Gesù, poiché, come afferma il de la Potterie, “lAntico Testamento si conclude in un punto concreto,giungendo a una persona singolaMariache è nello stesso tempo il punto di partenza e linizio del Nuovo Testamentodel tempo messianicodella Chiesa”[2]. In questo senso, l’economia mariana nel parallelismo lucano rende luminosa l’interpretazione sia dei passi relativi alla figura del Battista sia tanto più di quelli relativi a suo Figlio Gesù.

Coerentemente con il suo intento teologico, dunque, Luca imbastisce la propria redazione, dopo il prologo, proprio in un luogo fondamentale della propria economia, ossia il tempio (Lc 1,8). Il resoconto dell’ufficio canonico presso il tempio da parte di Zaccaria, della classe di Abìa, ossia “lottava delle ventiquattro classi che avevano due volte lanno il compito del servizio al tempio per una settimana (1Cr 24,10)”[3], il quale ufficio è caratterizzato dall’inattesa apparizione angelica con connessa rivelazione del nascituro Giovanni (Lc 1,11-20), in realtà, nella mente dell’evangelista, si manifesta come interamente volto al resoconto successivo, quello dell’apparizione dello stesso angelo Gabriele a Maria (Lc 1,26-38), pur tuttavia in termini polari. In questo particolare contesto del Vangelo lucano, è proprio Maria il fattore differenziale che rende luminosa l’ermeneutica delle parole dell’evangelista. Infatti, mediante un’opposizione polare Luca fa emergere Maria quale assoluto mistero di salvezza per l’umanità peccatrice. In che modo? Si osservi bene il testo lucano: l’angelo Gabriele appare a Zaccaria e, quale motivazione della propria presenza, egli stesso afferma:

“Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni” (Lc 1,13).

Al di là del ben conosciuto esito di questa apparizione, è chiaro il senso dell’apparizione dell’angelo: esaudire una preghiera di liberazione da una condizione di sterilità. Ora, questa motivazione è invece opposta a quella dell’apparizione a Maria, poiché ella non ha mai pregato per la liberazione da una condizione del genere, perché, pur non essendo sterile, Maria aveva scelto liberamente e definitivamentela condizione verginale: “(All’annuncio angelico, dice Maria): Ebbi un attimo di smarrimentodi accasciamentoperché […] mi pareva che il Signore rifiutasse la mia offerta di verginenon trovandola degna della sua PerfezioneEsaminai me stessa per trovare in che avessi spiaciuto al mio Signore,perchénaturalmentenon ebbi neppure larva di pensiero che la Giustizia divina avesse potuto essere ingiustaMa nellumile esame di me stessa trovai la risposta e la pace” (I Quaderni, 11 gennaio 1944)[4].

Virgin Mary and baby Jesus

Luca, ad ogni modo, non soltanto, come giustamente si evidenzia comunemente, oppone dialetticamente Zaccaria e Maria nella loro risposta all’annuncio angelico, bensì lo stesso annuncio in quanto tale, il quale rivela all’uno, Zaccaria, il compimento di una preghiera, mentre all’altra, Maria, esattamente l’opposto di ciò che, apparentemente, Maria nel proprio cuore si auspicava nella sua continua orazione. Ciò attesta come Luca guardi a Maria, dal principio della sua redazione, come a colei che necessariamente deve scardinare una logica umana ormai impressa nella coscienza universale dell’uomo e che ostacola, proprio a ragione dell’umano, la logica divina di salvezza. Lo si può riscontrare ancora considerando il sacerdote Zaccaria di fronte alla rivelazione angelica. Nonostante egli venga definito, assieme alla moglie Elisabetta, come ungiusto (v. 6) e la giustizia di questa coppia “si caratterizza nellobbedienza irreprensibile a tutte le leggi e le prescrizioni del Signore”[5], nel rispondere all’annuncio angelico Zaccaria manifesta una giustizia ancora incapace di superare quella degli scribi e dei farisei (cfr. Mt 5,20), poichè incardinata acerbamente su paradigmi esclusivamente umani. Di per sè, tuttavia, l’obiezione posta dal sacerdote Zaccaria, la quale rappresenta un vero “squilibrio totale sottolineato dai due termini greci, tarassô phobos”[6], rimarrebbe ermeneuticamente giustificabile se osservata di per se stessa, ossia al di là della parallela e opposta reazione mariana all’annuncio angelico. Questo proprio a ragione dell’umanità, sterile nel suo spirito, con cui il sacerdote domanda all’angelo:

“Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni” (Lc 1,18).

Umanamente, infatti, la domanda di Zaccaria appare come pienamente legittima, facendo inversamente apparire come immotivata la punizione così dura (mutismo fino alla nascita di Giovanni) che lo stesso sacerdote riceve a motivo di questo suo interrogativo.

Mary and the child

Se è biblicamente vero, tuttavia, che l’obiezione di Zaccaria “è un elemento conosciuto in molti raccontinei quali Dio si manifesta per conferire alluomo una missione”[7], nel caso di Zaccaria essa ha un valore particolare, a motivo del fine singolarissimo contenuto nell’annuncio angelico rispetto alle tradizioni precedenti di altri personaggi chiamati da Dio. Zaccaria, cioè, trema a ragione del contenuto stesso dell’annuncio, rispetto al quale sembra mantenere nel proprio cuore un atteggiamento di profondo sospetto.

In questa prospettiva, Luca sente la necessità teologica di contrapporre immediatamente, nella sua redazione, la singolarità mariana di fronte all’annuncio da lei ricevuto, il quale, rimanendo nella logica delfine, è ancora di molto superiore a quello ricevuto da Zaccaria. Maria, infatti, a differenza di quest’ultimo, viene non soltanto resa edotta di una profezia salvifica, bensì chiamata a sconvolgere, nel profondo, l’orizzonte intimo della propria persona, sino al punto che alcuni esegeti interpretano l’annuncio angelico come un racconto di vocazione mariana: “(Dice Maria): Chiesi soltantoin cambio della mia ubbidienza,che Iddio concedesse alla sua serva uno sposo tale da non essere per la mia verginitàsacrata al Signore,violenza che turba e scherno che irridema compagno rispettoso e santoal quale il timore e lamore di Dio fosse luce nel cuore per comprendere lanima della sua Donna” (I Quaderni, 11 gennaio 1944)[8].

Ciò che a Zaccaria appariva impossibile a motivo dell’umanità, a Maria appare  inizialmente incomprensibile a motivo della divinità, poiché proprio la fede da lei riposta in Dio, prima della spiegazione angelica, le faceva dire: “Il mio corpo è tempio dellanima e vi è sacerdote lo SpiritoIl popolo non è ammesso nel recinto sacerdotaleVe ne pregoNon entrate nel recinto di Dio […] Io vedo solo lanima dei viventiQuella la amo moltocon tutto il cuoreMa non vedo altro che Dio come Vero vivente a cui potrò dare me stessa” (L’Evangelo, 196.7)[9].

Ecco perché l’annuncio dell’angelo a Maria, che dal punto di vista del genere letterario ha delle innegabili somiglianze con il racconto della vocazione di Gedeone (Gdc 6,11-24)[10], è una rivelazione che oltrepassa ogni logica non solo umana (come in Zaccaria), bensì addirittura divina, poiché rivelando a Maria il concepimento di un Figlio, Dio stesso pare umiliare tutto ciò che, mediante la perfetta adesione a Lui, in Maria si confaceva in maniera esemplare, ossia il suo assoluto sigillo verginale. Solo Dio, dunque, e Luca lo esprime mediante la risposta angelica a Maria, può liberare la coscienza di Maria stessa da questo turbamento provocato non dall’umanità, bensì proprio dalla sua fede assoluta in Dio.

In termini diversi da Matteo, quindi, Luca esplica lo stesso concetto: mentre il primo, infatti, aveva evidenziato l’apparizione angelica a Giuseppe, durante la quale il falegname betlemmita si sentì dire:

“Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perchè quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20),

Luca, che certamente conosce al momento della sua redazione questo brano matteano, esprime su un altro livello lo stesso contenuto salvifico:

“Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo[11] e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,30).

Nell’opposizione fra i due personaggi, Zaccaria e Maria, Luca mette in evidenza un’ulteriore e ancor più profonda opposizione, ossia quella inerente lo stesso contenuto dell’annuncio angelico. Quest’ultimo, infatti, è si per Zaccaria motivo di gioia ed esultanza (chara) (cfr. Lc 1,14), ma soltanto nella prospettiva di un coinvolgimento mariano alla sua realizzazione (mediazione), la quale effettivamente si compirà nell’episodio che, saggiamente, Luca sottolinea raccontando la visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1,39-56). Quanto al contenuto specifico dell’annuncio angelico a Maria, invece, esso non intacca soltanto la sfera gaudiosa (χαῖρε, κεχαριτωμένη)[12], ma profondamente anche quella del dolore, come ancora Luca sottolinea prontamente nel racconto della profezia di Simeone (Lc 2,34-35).

Maria, quindi, a differenza di Zaccaria, è chiamata ad accettare non solo la gioia della nascita di un Figlio, quella stessa gioia “che nellAntico Testamento i profeti avevano augurato al popolo di Israele – la Donna Sion – e che ora si propaga e si concentra in una donna individualeMaria”[13], ma anche il dramma indescrivibile della sorte del Figlio annunciato, la quale già dal momento stesso dell’annunciazione è presente nella coscienza di Maria: “Dal mio primo fiat allAngelo seppi di consacrarmi al più grande dolore che madre potesse patire” (LEvangelo, 649.7)[14].

Diversamente da quanto accade con Zaccaria, al quale l’angelo profetizza che il nascituro “ricondurrà molti figli d’Israele al Signore loro Dio” (Lc 1,16), l’annuncio a Maria ha un valore assolutamente diverso, poiché è Maria stessa, in ultima istanza, ad essere annunciata dall’angelo, di cui è già Regina al momento stesso dell’apparizione, come testimoniato dalla riverenza linguistica e comportamentale dell’Angelo nei suo riguardi. A Maria, infatti, non viene annunciato che “i figli dIsraele ritorneranno al Padre”, bensì che lo stesso Figlio di Dio viene dal Padre in lei, a motivo della sua mediazione materna, affinché, soltanto attraverso questa necessaria sua cooperazione, veramente i figli dispersi possano reintegrarsi nell’orizzonte Paterno. La stessa struttura letteraria del racconto dell’annunciazione, in Luca, esprime questo doppio momento di realizzazione della maternità mariana: prima l’annuncio in se stesso dellamaternità divina (Lc 1,30-33), poi subito il rafforzo teologico, ossia l’annuncio che questa stessa maternità si realizzerà nell’ordine verginale (Lc 1,35)[15].

Va sottolineato, in modo particolare, il vocabolario lucano utilizzato nella descrizione dell’annunciazione, poiché si presenta in una forma assolutamente singolare. Se già abbiamo evidenziato sopra (v. nota 643) la particolarità del termine “χαῖρε”, utilizzato per il saluto angelico, rimane ancor più sorprendente l’epiteto angelico riferito a Maria, ossia l’espressione “κεχαριτωμένη”. La singolarità letteraria di questo termine utilizzato da Luca, infatti, permette di comprendere come attraverso un esame esegetico possa risultare rafforzato un determinato contenuto teologico. Ora, come scrive bene il de la Potterie, “il verbo usato qui da Luca è χαριτόω, rarissimo in grecoSi presenta solo due volte in tutto il Nuovo Testamentonel nostro testo di Luca sullAnnunciazione (1,28) e nella lettera agli Efesini (Ef 1,6), έχαρίτωσεν”[16].

Nazaret

La rarità dell’uso di questo termine nell’economia neotestamentaria, tuttavia, permette di contro una maggiore semplicità nel raffronto del suo impiego. Questo termine, infatti, appartiene alla categoria dei verbi in – όω, ossia i verbi cosiddetti “causativi”, che come ci ricorda il de la Potterie “indicano unazione che realizza qualcosa nelloggettoCosìper esempio, λευκόω, imbiancare; δουλόω, ridurre in schiavitù, asservire; έλευθερόω, rendere libero, liberare. Questi verbi cambiano dunque qualcosa nella persona o nella realtà in questione”[17]. Alla luce di questa spiegazione, allora, il termine impiegato da Luca, “κεχαριτωμένη”, che è un participio perfetto passivo, risulta quanto mai emblematico, poiché viene ad esprimere anch’esso un cambiamento e, a motivo della sua radicale “χάρις” (grazia), proprio un cambiamento relativo all’ordine della grazia, ossia “indica chenella persona a cui si riferisceMaria,lazione della grazia di Dio ha già operato un cambiamento”[18]. In termini più elementari, a motivo di questo verbo viene ad intendersi che Maria è stata trasformata a motivo dell’azione della grazia divina.

Il problema, allora, viene a sorgere laddove si consideri che in nessun luogo e in nessuna maniera Luca descriva ciò che utilizzando questo verbo, “κεχαριτωμένη”, egli stesso sottintende. Quale cambiamento trasformativo, nell’ordine della grazia, risulta allora condizionare l’esistenza mariana?

Una risposta può provenire, prima ancora che dal ragionamento teologico, ancora una volta da un soccorso esegetico. Infatti, come abbiamo visto, esiste un altro momento neotestamentario in cui compare il verbo “χαριτόω”, ossia in Ef 1,6, dove si dice che “i cristiani sono trasformati dalla grazia” e questa trasformazione viene esplicitata nel versetto seguente:

“Secondo la ricchezza della sua grazia essi trovano la redenzione per mezzo del suo sangue, la remissione delle colpe”.

Viene dunque descritta, applicando il verbo “χαριτόω” non a un singolo individuo, bensì a tutti i cristiani, la trasformazione operata dalla grazia a motivo della redenzione di Cristo. Ciò che qui, allora, viene espresso in termini collettivi, nel brano lucano di 1,28 viene  riferito a Maria, ma in termini assolutamente singolari, poiché “come abbiamo indicatoil participio perfetto passivo utilizzato da Luca indica che la trasformazione di Maria operata dalla grazia ha già avuto luogo, prima del momento dellAnnunciazione”[19], e dunque tanto più prima ancora della redenzione di Cristo. Sembra allora ragionevole pensare, proprio osservando la terminologia lucana, come attraverso l’uso del termine “κεχαριτωμένη” l’evangelista pensasse già all’Immacolata Concezione, dando quindi un prezioso fondamento biblico a ciò che soltanto molti secoli più tardi verrà ufficializzato nel dogma. Come osserva in termini conclusivi il de la Potterie, “dal punto di vista esegetico e teologico è ugualmente importante che questa trasformazione di Maria attraverso la grazia sia un preambolo alla sua maternità divina e verginale.Questo non è statoforseabbastanza accentuato nella proclamazione del dogma della Immacolata ConcezioneQui lesegesi moderna può rendere ancora il suo servizio aiutandoci a percepire meglio la struttura del dogma”[20].

De la Potterie

NOTE:

[1] Grasso S., Luca, Ed. Borla, Roma 1999, p. 33.

[2] De la Potterie I., Maria nel mistero dellAlleanza, op. cit., p. 30.

[3] Grasso S., Luca, op. cit., p. 59.

[4] Padre Roschini G. M., La Madonna negli scritti di Maria Valtorta, op. cit., p. 233, v. nota n. 67.

[5] Grasso S., Luca, Ed. Borla, Roma 1999, p. 59.

[6] Ivi, p. 61.

[7] Ivi, p. 63.

[8] Padre Roschini G. M., La Madonna negli scritti di Maria Valtorta, op. cit., p. 233, v. nota n. 67.

[9] Ivi, p. 235.

[10] Cfr. su questo argomento De la Potterie I., Maria nel mistero dellAlleanza, op. cit., pp. 39-41.

[11] Utilizziamo questa traduzione d’accordo con il pensiero del de la Potterie, che analizzeremo in dettaglio più avanti, al paragrafo b.3.

[12]Come scrive il de la Potterie, “è interessante constatare che nei Settanta la formula χαῖρε si presenta sempre in un contesto in cui Sion è invitata alla gioia messianica in una prospettiva futura (Gl 2,21-23; Sof 3,14; Zc 9,9; cfr. Lam 4,21). Nell’annuncio a Maria l’angelo utilizza quindi la formula che i profeti usavano per invitare la Figlia di Sion escatologica a rallegrarsi della salvezza che Dio stava per accordarle” – Ivi, p. 45.

[13] Ivi, p. 47.

[14] Padre Roschini G. M., La Madonna negli scritti di Maria Valtorta, op. cit., p. 142.

[15] Cfr. De la Potterie I., Maria nel mistero dellAlleanza, op. cit., p. 43.

[16] Ivi, p. 48.

[17] Ivi.

[18] Ivi.

[19] Ivi, p. 49.

[20] Ivi, p. 50.

(Fonte: Francesco Gastone Silletta – Studi di Teologia Mariana – © La Casa di Miriam Torino)

                                                   

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