“Prima di essere umiliato andavo errando, ma ora osservo la tua parola” (118,67)

“Prima di essere umiliato andavo errando, ma ora osservo la tua parola” (118,67) – Meditazione serale alla Casa di Miriam del 2 settembre 2023 ***

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Precetti, insegnamenti, comandi, decreti, giudizi, sentenze, voleri, e via dicendo, sono termini in se stessi ostili, se letti secondo una certa via morale contemporanea. L’idea stessa di rigorosa osservanza di un insieme di leggi e l’adeguazione integrale di se stessi in una illimitata obbedienza, urta una certa sensibilità mondana, assuefatta da un’idea di libertà che, a suo modo, svincola il soggetto anche da Dio, dal riconoscimento della sua esistenza e, tanto più, della sua legge. Il Salmo 118 (119 nel testo Masoretico), è invece sovraccarico di questa terminologia obbedienziale. E ciò che stupisce, è il fatto che non sia Dio che la impone, ma il soggetto stesso, qui nella personificazione del salmista, che la chiede, insieme alla capacità del suo adempimento. Questo ideale soggetto ha capito il giusto rapporto che intercorre fra la legge di Dio e la salvezza umana, fra il divino comando e la giustizia, fra la volontà di Dio e la pace dell’anima. Lo ha capito non da se stesso, poiché da se stesso l’uomo non può mai capire nulla – in senso fondamentale – di ciò che riguarda Dio. Lo ha capito, piuttosto, per un intervento stesso di Dio, gratuito, nel corso della sua esistenza: “Prima di essere umiliato andavo errando, ma ora osservo la tua parola” (118,67), e – ancora – “Bene per me se sono stato umiliato, così che impari ad obbedirti” (118,71).

Questo lunghissimo salmo, quindi , sorge nel soggetto/salmista alla luce di un profondo ripensamento di se stesso, della propria condotta, che Dio stesso ha infuso in lui e  alla luce del quale il suo animo intende i divini precetti in modo opposto rispetto a prima: “Sia il mio cuore integro nei tuoi precetti, perché io non resti confuso” (118,80). L’esperienza è quella del danno causato dal danno causato dalla ribellione umana agli insegnamenti di Dio, il cui esito, nell’anima, è la confusione. Essa conduce ad un senso di umana onnipotenza che rimane presto disillusa nella sua vanità: “Di ogni cosa perfetta ho visto il limite” (118,96). Quando si intende, finalmente, quanto siano dolci all’esistenza i comandi di Dio, li si cerca ancora, come a volersi saziare tutta la vita di essi: “La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici” – “I tuoi comandi sono la mia gioia” (118,130.143).

Non è una fuga dal mondo, ma un incontro reale con Dio, questo evento esistenziale del salmista. Egli ha ora quella capacità di discernimento, sulle cose belle e su quelle brutte, che prima non possedeva per l’inerzia spirituale: “Distogli i miei occhi dalle cose vane, fammi vivere sulla tua via” (118,37).

E Dio accondiscende tutto “lo zelo per la sua casa” (118,139) che divora l’animo del salmista, e gli dona conoscenza, giustizia, stabilità nella fede. Certo questo produce, rispetto al mondo, persecuzione e ostilità, poiché il mondo non si piega ai comandi di Dio; tanto più per questa persecuzione del mondo, il salmista domanda la salvezza divina (cf. 118,123), la quale si manifesta nelle sue leggi, nei suoi comandamenti e nei suoi precetti, che in quanto veri (cf. 118,151), avvicinano Dio all’uomo, rendendo  così beato il suo cuore. Amen.

*** F.G. Silletta – Edizioni Cattoliche  La Casa di Miriam
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