Chi era davvero il “Cefa” menzionato da Paolo nell’incidente di Antiochia e comunemente inteso come “Pietro”?
Nel famoso racconto paolino della lettera ai Galati (2,11-14), relativo al dissidio fra Paolo e Pietro in materia di riverenza rispetto alla legge antica, Paolo utilizza il nome aramaico di “Cefa” (“Quando Cefa venne ad Antiochia… Gal 2,11), non il nome di “Simone” (Σίμων), né quello di Pietro (Πέτρος). San Clemente Alessandrino, commentando questo testo, con un po’ di coraggio esegetico affermava che il “Cefa” da cui san Paolo prendeva qui le distanze con particolare ardore, non fosse in realtà il “Pietro” che tutti conosciamo, bensì un omonimo “Cefa”, vivente nella primissima comunità dei discepoli di Cristo. L’esistenza di un secondo “Cefa”, in effetti, è reale, almeno stando al racconto di Eusebio di Cesarea nella sua “Storia ecclesiastica”. Tuttavia l’argomentazione, il senso, il contesto e la stessa teologia inclusa nel racconto paolino dell’incidente di Antiochia (Gal 2,11-14), sembrano, per la maggioranza degli studiosi, inequivocabilmente far ricadere l’attenzione sul “Pietro” capo degli Apostoli, e non su uno sconosciuto “Cefa”. Forse San Clemente Alessandrino teneva molto a salvaguardare l’autorità di Pietro, che da questo racconto poteva (e ancora oggi in parte può esserlo) venire fraintesa. Rimane tuttavia interessante la scelta di Paolo di chiamarlo, in questo episodio, con l’aramaico “Cefa”, dato che nella stessa lettera, poco prima, aveva utilizzato il nome di “Pietro” (Πέτρος). Amen.
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