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La singolarità dell’Io e la totalità di Cristo
Uno sguardo d’insieme
L’analisi dell’esistenza cristiana che Guardini propone vuole porre in rilievo la centralità di Cristo quale orizzonte ermeneutico per la comprensione del soggetto in se stesso. Il passo previo in questa prospettiva ha una base antropologica: “Ogni esistente dipende da qualcosa che ha una base al di là di esso. Esiste in un rapporto qualitativo. Non è ‘natura’, intelligibilità a se stante, ma ‘opera’, e ciò in senso radicale: creaturalità”[1]. Il riconoscimento della creaturalità della condizione umana può pertanto considerarsi fondamentale in tutto il pensiero dell’autore italo-tedesco, purché esso venga radicalmente evacuato da superficialismi teologici tendenti a considerarlo come puro “dato di partenza” nel suo pensiero. Se è innegabile, infatti, che l’autore non possa instaurare alcun ragionamento teologico senza previamente considerare il fatto che l’uomo è creato da Dio, è altrettanto innegabile come tale punto fermo, benché sia un dato rivelato, sia al contempo il frutto di una ricerca personale dell’autore, soltanto al termine della quale egli stesso perviene a considerare come “ciò che il concetto di ‘creare’ significa, è di natura essenzialmente religiosa, implica un atto di invenzione e di realizzazione che non soltanto sorpassa le nostre possibilità, ma si distingue qualitativamente da tutte le realizzazioni a noi note e a noi proprie”[2]. Ancora una volta si vede come Guardini ricorra alla dimensione del “pensare il Cristianesimo”, all’idea secondo cui “l’uomo deve purificare il suo pensiero per adattarlo al pensiero di Cristo”[3], per riflettere su ciò che non è per nulla teologicamente scontato, ovvero il concetto stesso di creazione. L’essenzialmente religioso che egli attribuisce alla natura dell’atto creativo esprime come all’origine di quest’ultimo vi possa soltanto essere un’istanza divina, un “pensiero” di Dio, per cui l’uomo stesso, nella propria dischiusura esistenziale, non può autonomamente conoscere la propria identità se non mediante uno svelamento divino.
In questi termini, la natura stessa viene divinizzata e l’uomo responsabilizzato. L’uomo sa che è creato da Dio, che il senso di se stesso ha in Lui la sua origine, con un’ulteriore responsabilità rappresentata dal sigillo divino che egli porta con sé, ovvero il deposito della sua immagine e somiglianza. L’esistenza umana non può perciò misconoscere tale istanza ontologica, pena la perdita di senso della vita stessa, l’aggrovigliarsi delle situazioni entro il caos della non-comprensione.
Ora, per Guardini, se Dio crea l’uomo, ciò significa anche che “ha fiducia che l’uomo saprà comprendere il significato di questo rapporto”[4]; Dio ha stima dell’uomo conferendogli la possibilità di riconoscerlo al di là delle tensioni cui andrà incontro, conservando appunto in sé un nucleo esistenziale che ogni volta gli farà presente la propria condizione creaturale. Questo grazie alla Rivelazione che Dio stesso fa di sé all’uomo, il cui punto fondamentale, a livello esistenziale, è proprio il fatto che “Dio ha un plurale”, cioè “è in se stesso comunità, perciò non ha bisogno di alcun mondo. In Lui stesso vi è dialogo eterno”[5]. Senza questa Rivelazione l’uomo sarebbe heidegerianamente solo nel mondo, di fatto ne sarebbe lo schiavo: “La Rivelazione, al contrario, gli spalanca la presenza di un Dio personale nel mondo, nella sua esistenza. Con la sua chiamata, il rapporto io–tu con Dio diventa il rapporto fondamentale del suo esistere”[6]. Ciò significa l’esatto contrario, per l’uomo, della solitudine esistenziale: “Io” non sono solo. E questo vale “essenzialmente”. Il fatto stesso che “Io sono” è già una risposta a Colui che mi dice: “Tu sii”. L’orizzonte singolare dell’uomo è allora dischiuso e reso un orizzonte comunitario. Questo in virtù di un’ermeneutica della totalità, un vincolo d’amore con cui Dio traduce all’uomo il suo esistere nel mondo: Gesù Cristo, “attraverso il quale Dio arriva all’uomo in maniera da conquistarlo nel suo intimo, risolvendo, schiudendo, liberando, trasformando, mutando: cioè con la grazia”[7]. A partire da Cristo, l’esistenza umana diviene esistenza cristiana, avente quale categoria esemplare Cristo stesso.
Guardini cerca dunque di riflettere attorno a ciò che per l’uomo significhi “esistere-in” Cristo e, come si è messo in luce nella seconda parte di questa trattazione, tale ricerca si concretizza nell’orbita di due binari di riferimento. Il primo riguarda l’uomo in quanto “soggetto credente”, cioè il singolo cristiano nel suo percorso di sequela Christi; per tale percorso Guardini ha riconosciuto la figura di san Paolo quale momento esistenziale particolarmente esemplare. Il secondo riguarda l’uomo nella sua struttura antropologica, che l’autore riconosce come polarmente costituita. L’uomo si presenta a se stesso, per Guardini, segnato non volitivamente o intenzionalmente, bensì ontologicamente dalle relazioni di opposizione, le quali generano in lui una tensione esistenziale di volta in volta differente a seconda del prevalere dell’una o dell’altra polarità, poiché vige in lui la convinzione che “gli opposti non si ‘incontrano’, ma tuttavia si appartengono indissolubilmente gli uni gli altri”[8].
Entrambe le prospettive guardiniane necessitano però dell’orizzonte cristiano, cioè dello sguardo di Cristo sul mondo, di quel punto d’osservazione extramondano che conferisce senso a tutte le cose. Senza questo sguardo cristiano, il soggetto credente, rimarrebbe vincolato al fenomeno della sua opposizione polare, finendo nella “zona di fallimento”, dove tale oppositività viene in diversi modi e comunque tutti fallaci attribuita anche a Dio, dimenticando come “il fatto dell’opposività non costituisce una legge assoluta, a cui sia Dio sia le creature siano ugualmente sottomesse […] In Dio non ci sono opposti, perché Egli è assolutamente semplice”[9].
E’ pertanto la fede in Cristo ciò che svela il mistero dell’uomo, la stessa fede che ha caratterizzato l’esistenza paolina e che ne ha tracciato le vie direzionali, “oltrepassando”, nel senso di rendendole accessibili, le tensioni prodotte dal fenomeno dell’opposizione polare.
Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam Torino (Tesi di Licenza Teologia Dogmatica)
[1] La citazione in corsivo è contenuta nel saggio di Guardini intitolato “Die Sinne und die Religiöse Erkenntnis. Zwei Versuche Über die christliche Vergewisserung” – it. “La funzione della sensibilità nella conoscenza religiosa” – (1950), qui estratta dall’opera di SCALABRELLA S., (a cura di), R. Guardini. Uno sguardo cristiano sul mondo, op. cit., p. 143.
[2] GUARDINI R., L’esistenza del cristiano, op. cit., p. 88.
[3] IDEM, Il Signore, op. cit., p. 216.
[4] IDEM, L’esistenza del cristiano, op. cit., p. 187.
[5] Ivi, p. 384.
[6] Ivi, p. 394.
[7] IDEM, La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento, op. cit., p. 36.
[8] IDEM, L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente, op. cit., v. “Postfazione” di H.B. Gerl, p. 225.
[9] Ivi, p. 124.