“Un amore che è un mistero anche per i Serafini”

“Quanto più veramente e più interamente era carne di Maria la carne di Gesù. L’atto di strappargli le vesti, o quello di stirare con altre nuove battiture quel divin corpo sulla croce, dovettero strappare con sé un pezzo di cuore di Maria. Quante volte dovette dire ai carnefici: “Se volete tutto il suo sangue, cercatelo nella sorgente: in quelle vene voi non troverete che i rivoli, perché la fonte è nel mio cuore, in essa saziatevi, in essa cercate”.
Quella medesimità di sangue, che solo, senza concorso di padre, aveva contribuito alla formazione di quella umanità sacrosanta, che si vedeva lacerata sotto gli occhi, quale unione di amore avrà naturalmente prodotto fra quelle due innocentissime anime?
[…] Un amore che è un mistero anche per i Serafini. Maria amava il suo Gesù più che tutti gli Angeli e più di tutti coloro che ora sono Beati messi assieme. Questo amore la portava a vivere tutta in lui; con lui nel penare, con lui nello svenarsi in spirito. Gesù riamava la madre con amore infinito, e questo amore portava in lei tutta l’anima del Figlio, che ricolma a dismisura del proprio.
[…] Ecco Gesù agonizzante, ecco piangente Maria. Chi sa distinguere in quel sangue e in quel pianto l’anima di Gesù e quella di Maria? Io le trovo talmente l’una nell’altra, che più che non unite, mi sembrano un’anima sola. Si perdoni l’ardire dell’espressione, perché in un uomo viatore l’amore confina sempre con il delirio. Sebbene non è del tutto un delirio lo spiegare con un eccesso tutto questo, che abbatte gli sforzi degli ordinari vocaboli. Anche san Bonaventura, dinanzi a questa sì ammirabile unione, chiamò l’anima di Maria come la stessa di Gesù, intendendo che ciò che Simeone profetizzò di Maria e di Gesù, era la trafittura di un’anima sola, che fosse insieme di lui e di lei […]”
(“Prediche quaresimali scritte e dette sotto la protezione di san Tommaso d’Aquino” – a cura di C.F. Badia, Venezia, 1751, Predica 36, p. 408)

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