La donna mediatrice

 

Maria schiaccia la testa al serpente

LA DONNA MEDIATRICE

Come scrive in un suo studio il Von Rad:

“Nella sua paterna sollecitudine Dio aveva procurato agli uomini tutti i possibili beni; ma era sua volontà che nel settore della conoscenza si rispettasse un confine fra lui e gli uomini. Peraltro, con la locuzione “conoscenza del bene e del male” il narratore, secondo l’uso linguistico ebraico, intende molto di più di un mero processo intellettuale. La parola jāda´ significa al tempo stesso l’esperienza di ogni cosa e l’impadronirsi di tutte le cose e di tutti i segreti, giacché ‘bene e male’ sono da intendere qui non unilateralmente in senso morale, ma nel significato di “tutto”[1].

Tutto, a ragion veduta, era l’oggetto dell’aspirazione dei progenitori nell’ordine conoscitivo, il cui ambizioso possesso pareva loro drasticamente impedito dal comando divino di non mangiare dell’albero. Proprio questa singolare pianta collocata nell’Eden, quindi, rappresenta uno strumento filiale stabilito dalla volontà paterna, ossia:

“Il mezzo per provare l’ubbidienza dei figli. […] Eva va alla pianta da cui sarebbe venuto il suo bene con lo sfuggirla o il suo male coll’avvicinarla. Vi va trascinata dalla curiosità bambina di vedere che avesse in sé di speciale, dall’imprudenza che le fa parere inutile il comando di Dio, dato che lei è forte e pura, regina dell’Eden, in cui tutto le ubbidisce e in cui nulla potrà farle del male. La sua presunzione la rovina. La presunzione è già lievito di superbia” (L’Evangelo, 17.12)[2].

Prima ancora, quindi, dell’azione antimediatrice, o per meglio dire della mediazione antifiliale esercitata dal serpente, Eva oscura la propria perfezione creaturale attraverso il fascino deleterio della sua propria “curiosità”, intrappolando il proprio cuore, sino a quel momento libero da ogni attrattiva antiteologale, nella rete di una malsana predisposizione alla caduta. In questa sua peculiare condizione trova terreno fertile la disastrosa tentazione del Seduttore, il quale “alla sua inesperienza, alla sua vergine tanto bella inesperienza, alla sua maltutelata da lei inesperienza, canta la canzone della menzogna” (Ivi)[3].

Apparizione Fatima

Quella relazione paterno-filiale in virtù della quale il Padre pone il proprio Figlio a modello esemplare di ogni conoscenza per l’uomo, stabilendo per lui una pedagogia nell’Amore attraverso la quale essere reso partecipe della stessa vita divina, viene ora drammaticamente lesa dall’offesa superba di Eva, a sua volta occasione di caduta per Adamo, volta a stabilire autonomamente il confine della propria libertà e della propria conoscenza, nell’illusione di conoscere da se stessa le leggi della vita e di divenire per questo uguale a Dio:

“L’albero proibito diviene, alla razza, realmente mortale, perché dai suoi rami pende il frutto dell’amaro sapere che viene da Satana. E la donna diviene femmina e, col lievito della conoscenza satanica in cuore, va a corrompere Adamo. Avvilita così la carne, corrotto il morale, degradato lo spirito, conobbero il dolore e la morte dello spirito privato della Grazia, e della carne privata dell’immortalità. E la ferita di Eva generò la sofferenza, che non si placherà finché non sarà estinta l’ultima coppia sulla terra” (Ivi)[4].

Risultano dunque stabiliti i parametri di quella che definiamo come una disputa conflittuale fra l’uomo e Dio a motivo della quale è necessario l’intervento di una figura mediatrice: uniti infatti nella prevaricazione, Adamo ed Eva si scoprono ormai inesorabilmente disuniti da Dio, poiché hanno rifiutato l’obbedienza salvifica alla sua Parola filiale. La risultante è l’agonica solitudine del genere umano rispetto all’Amore divino offeso radicalmente dalla disobbedienza dei progenitori. Viene resa quindi impellente la necessità di quello che il Roschini definisce come il “principio di rivincita, per cui la Redenzione è il rovescio della prevaricazione”[5].

Poiché tuttavia non appartiene a questo contesto l’elaborazione di una teologia del peccato originale, ci limitiamo qui a ricercare su quali basi, alla luce della redenzione operata di Cristo, si possa parlare della necessità di una mediazione materna. In questa prospettiva, occorre riprendere il famoso anatema divino pronunciato nei confronti del serpente in Gen 3,15:

“Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.

Paradossalmente, con queste parole Dio sta preannunciando al serpente, fiero del tranello riuscito nei confronti di Eva, un rovesciamento di situazione futuro, nel quale proprio colei che si è rivelata debole di fronte alle sue lusinghe antifiliali, vedrà trasfigurata questa sua debolezza a motivo di una nuova creatura, a lei identica nell’ordine della sostanza creaturale, una donna, la quale delegittimerà, annullandola, la sua vittoria parziale nei confronti della creatura umana. Questo processo avverrà rigorosamente a motivo di una relazione filiale, qui rappresentata dal concetto di stirpe: la donna annunciata, proprio perché genitrice di una stirpe, sarà insindacabilmente una madre, ed una madre mediatrice, poiché a partire dal suo medium la stirpe filiale di lei avrà la vittoria definitiva sul serpente. Si può osservare come già in questo brano genesiaco, notoriamente conosciuto come protovangelo, siano contenuti tutti e quattro i parametri fondamentali per una teologia trinitaria di ordine mariano: il Padre, colui che stabilisce la distanza ontologica fra la sua creatura ed il serpente maligno; il Figlio, prefigurato dalla stirpe redentrice; la Madre, prefigurata dalla donna che darà origine a questa stirpe, lo Spirito Santo, ossia colui a motivo del quale, oppositivamente, viene applicato il termine inimicizia in riferimento al serpente, ma pure, di contro, colui in virtù del quale viene resa necessaria la mediazione salvifica della donna e della sua stirpe.

Come afferma ancora il mariologo Roschini, citando un brano della Valtorta:

“La coppia Gesù-Maria è l’antitesi della coppia Adamo-Eva. È quella destinata ad annullare tutto l’operato di Adamo ed Eva e riportare l’Umanità al punto in cui era quando fu creata: ricca di grazia e di tutti i doni ad essa largiti dal Creatore. L’Umanità ha subito una rigenerazione totale per l’opera della coppia Gesù-Maria, i quali sono così divenuti i nuovi Capostipiti dell’Umanità. Tutto il tempo precedente è annullato. Il tempo e la storia dell’uomo si conta da questo momento in cui la nuova Eva, per un capovolgimento di creazione, trae dal suo seno inviolato, per opera del Signore Iddio, il nuovo Adamo” (L’Evangelo, 606.1)[6].

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Ora, se come afferma lo Sträter, “mediatore è colui il quale collocato tra più persone, procura di metter pace tra loro, di trattare negozi, di ottenere grazie e simili. Occupa uno stato e una condizione intermedia; è distinto dalle due parti che devono riconciliarsi e congiungersi, ma con queste in qualche modo comunica, partecipe della maniera di essere dei due gruppi”[7], ci pare assolutamente idoneo, già alla luce di questo brano biblico considerato qui sopra, attribuire a Maria, la donna preannunciata nell’anatema di Gen 3,15, l’ufficio peculiare di mediatrice.

Solitamente, tuttavia, qui sorgono due questioni teologiche. L’una è quella relativa al genere proprio della Mediazione mariana, alla luce dell’unica Mediazione di Cristo affermata apoditticamente in 1Tm 2,5; l’altra è quella relativa alla diatriba sorta in ambito esegetico circa il vero autore della vittoria sul serpente, ossia chi fra la Donna e la sua stirpe sia il soggetto reale dello schiacciamento della testa orgogliosa del serpente.

Quanto alla prima questione, scrive ancora lo Sträter, citando l’enciclica di Leone XIII Fidentem piumque (20 settembre 1896):

“Il nome e la funzione di perfetto Mediatore non convengono che a Cristo; perché Egli solo, Dio e Uomo insieme, riconciliò il genere umano con il Padre celeste. Ma se nulla vieta, come insegna l’Angelico, che qualche altro si chiami, sotto certi aspetti, mediatore tra Dio e gli uomini, in quanto dispositivamente e ministerialmente coopera all’unione dell’uomo con Dio, come gli Angeli, i Santi, i profeti e i sacerdoti del Vecchio e del Nuovo Testamento, senz’alcun dubbio, tale titolo di gloria conviene, in misura anche maggiore, alla Vergine eccelsa. È infatti impossibile immaginare un’altra creatura che abbia compiuto o sia per compiere un’opera simile alla sua nella riconciliazione degli uomini con Dio. […] Ella è colei da cui nacque Gesù, vera sua Madre e perciò degna e graditissima Mediatrice presso il Mediatore”[8].

[…]

Ciò che qui ci interessa, tuttavia, è che la mediazione della “donna” menzionata in 3,15, di cui a breve esamineremo anche la giustizia esegetica, ha una sostanza materna, ossia Colei che vince il serpente è assolutamente e primariamente una Madre. Dio, cioé, vede attentata dall’azione del serpente e dal consenso dei progenitori la stabilità amorosa del proprio essere Padre e Figlio, non in quanto a Se stesso, bensì in quanto alla comunicazione del suo Amore all’uomo. Ciò che da questo momento drammatico Dio decreta per l’umanità, dopo averlo tuttavia già eternamente prefigurato nel proprio Pensiero, è proprio l’istituzione di un capovolgimento di situazione, laddove non più una figlia di Dio soltanto, come lo era Eva, bensì una Madre ed al contempo figlia di Dio, come lo è Maria, manifesterà al Nemico e all’uomo stesso l’estensione dell’Amore che, a partire da Sè, Dio comunica all’uomo.

Ora, una certa esegesi contesta l’attribuzione alla donna, dunque a colei che questa prefigura, ossia a Maria stessa, l’azione di schiacciare la testa al serpente e di essere insediata da lui nel calcagno. Questa stessa linea esegetica attribuisce unicamente al Figlio-stirpe tutta questa salvifica funzione. Come infatti si domanda uno studioso, “chi è esattamente che vince il serpente?”[9]. Una citazione del Montfort può qui introdurre la nostra risposta:

“Dio ha fatto e stabilito una sola inimicizia, ma irriconciliabile, che durerà, anzi andrà aumentando sino alla fine: è tra Maria, sua degna Madre, e il demonio, tra i figli e servi della Santa Vergine e i figli seguaci di Lucifero; di modo che la più terribile dei nemici che Dio ha posto contro il demonio, è Maria, la sua santa Madre. Fin dal paradiso terrestre, benché ella non fosse ancora che nella sua mente, Egli le ha ispirato tanto odio contro questo maledetto nemico di Dio, tanta abilità nello smascherare la malizia di questo antico serpente, tanta forza per vincere, abbattere e schiacciare questo empio orgoglioso, che egli la teme non solo più di tutti gli angeli e gli uomini, ma, in un certo senso, più di Dio stesso”[10].

Questa citazione del Montfort ci pare quanto mai utile nel nostro intento teologico, che è quello di asserire che nella fattispecie dell’oracolo divino contenuto nel protovangelo, l’accento non sia posto tanto sulla Redenzione di Cristo, la quale indiscutibilmente rappresenta la definitiva vittoria sul Nemico, quanto piuttosto sulla stessa figura femminile, la donna mediatrice, nella sua antitesi radicale con il nemico stesso; si tratta, cioé, di un oracolo mariano prima ancora che cristologico. Come ancora prosegue il Montfort, suggellando la nostra ipotesi, “Satana, essendo orgoglioso, soffre infinitamente di più nell’essere vinto e punito da una piccola e umile serva di Dio, la cui umiltà lo mortifica più della potenza divina”[11].

Guardando, allora, il testo nella sua tradizione latina, possiamo constatare con il Bea quanto segue:

“Se la nostra lezione latina della Bibbia reca da tempi remoti, in luogo dello ipse del testo originale e delle più antiche versioni, il pronome ipsa, sì che si legga ‘essa ti schiaccerà il capo’, non ha, con ciò, dato origine per prima al riferimento del testo alla Madre di Dio come vittoriosa soggiogatrice di Satana, ma ha riportato soltanto quanto era già bene pubblico costante nell’insegnamento della Chiesa, come è comprovato, molto tempo prima che la parola ipsa venisse adottata dai Padri e dagli scrittori della Chiesa”[12].

Del resto, il senso di questo oracolo protovangelico non si deduce tanto dalla sua forma linguistica, quanto piuttosto dal suo compimento storico-salvifico, ovverosia dall’economia della storia della Salvezza nel suo dispiegamento neo-testamentario. Ciò che qui ci preme sottolineare, ad ogni modo, è il carattere assolutamente materno della donna prefigurata in questo anatema contro il serpente: esso è testimoniato dalla ricorrenza del termine “sperma”, che di per se stesso ha una natura filiale e dunque suppone una maternità generatrice. Ancora a sostegno del primato mariano che stiamo difendendo nel commento di questo brano, ovviamente non in competizione a quello cristologico, bensì nel senso di un oracolo divino atto ad evidenziare la figura della donna piuttosto che non quella propriamente filiale, ebbene citiamo ancora un estratto dallo studio del Roschini sugli scritti della Valtorta:

“Come per la donna entrò il Male, per la Donna è giusto entri il Bene nel mondo. Vi è da annullare una pagina scritta da Satana. E lo farà il pianto di una Donna […] Ella capovolgerà Eva col suo triplice peccato. Ubbidienza assoluta. Purezza assoluta. Umiltà assoluta. Su questo si drizzerà, regina e vittoriosa …” (L’Evangelo, 420.11)[13].

Riprendendo allora quel quesito lasciato in sospeso precedentemente, riguardo l’identità del soggetto vincitore contenuto nell’oracolo del protovangelo, possiamo citare ancora il medesimo studio:

“Io (dice Maria) ho vinto Satana in me e per gli uomini. Esso è sotto il mio piede” (I quaderni, 10 gennaio 1944)[14].

Questo non contrasta assolutamente con la verità assoluta della vittoria di Cristo sul Maligno, ma semmai apre un nuovo volto a questa vittoria, ossia la funzione capitale di Maria attraverso il suo concorso di Mediatrice: “

“La nuova Eva è stata concepita dal Pensiero ai piedi del paradisiaco pomo, perché col suo riso e col suo pianto fugasse il serpente e disintossicasse l’attossicato frutto. Lei si è fatta albero dal frutto redentore” (L’Evangelo, 207.10)[15].

Fonte: La Casa di Miriam Torino


[1] Ivi.

[2] Padre Roschini G. M., La Madonna negli scritti di Maria Valtorta, op. cit., p. 134.

[3] Ivi.

[4] Ivi.

[5] Ivi, p. 129.

[6] Ivi.

[7] Sträter P., “Maria Mediatrice”, in Sträter P., (a cura di), Mariologia, Vol. II, op. cit., pp. 213.

[8] Ivi. pp. 214-215.

[9] Coggi R., La Beata Vergine. Trattato di Mariologia, op. cit., p. 24.

[10] S. Luigi Maria Grignion de Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, op. cit., pp. 62-63.

[11] Ivi, p. 63.

[12] Bea A., La figura di Maria nel Vecchio Testamento, in Sträter P., (a cura di), Mariologia, Vol. 1, op. cit., p. 24.

[13] Padre Roschini G. M., La Madonna negli scritti di Maria Valtorta, op. cit., p. 130.

[14] Ivi., p. 131.

[15] Ivi.

 

 

 
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