Mt 24,13 e il verbo ὑπομένω

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Mt 24,13

“Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato”.

L’interesse non solo teologico, ma anche letterario, ci porta a considerare qui il verbo “perseverare” nella sua forma greca.

In greco esso è il composto di due termini, l’uno è dato dalla preposizione “ὑπο”, cioè “sotto”, l’altro dal verbo “μένω”, cioè “rimanere”. Letteralmente, questo composto significa quindi: “Stare sotto, permanere”. Un esempio è quello di Lc 2,43, dove si dice che “il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme”. Tuttavia questa “permanenza” non è solo significativa di uno stato in luogo, ma anche di una perseveranza di tipo esistenziale e volitivo.

Questo termine greco, ὑπομένω, è usato in tal senso ad esempio da san Giacomo, in 1,12, con il significato di “sopportare” la tentazione, come anche in 5,11, dove si dicono beati quanti hanno sopportato con pazienza.

Anche san Paolo lo utilizza, ma con un senso più sottile ancora, cioè essere pazienti nella tribolazione (Rm 12,12), mentre con Timoteo usa lo stesso verbo per dire: “Se con lui perseveriamo, con lui regneremo” (2Tm 2,12).

Tornando quindi al versetto di Matteo, si capisce come l’esortazione di Gesù a “mantenersi saldi sino alla fine” per essere salvati, sia resa dal greco di Matteo con un verbo efficace, condiviso nell’economia letteraria di altri scrittori del Nuovo Testamento ma anche dell’Antico (cf. ad es. Salmo 32,20: “L’anima nostra attende il Signore”, ecc.). Esso esplicita l’atto di insistenza volontaria in una data condizione e per un dato fine, sulla base di una data convinzione che non muta lo “stato” di chi la possiede. Amen

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