“Quella domanda talvolta sciocca – se non sostenuta dalla ragione teologica – del: Dove è scritto ciò che dici nella Bibbia?”

“Quella domanda talvolta sciocca – se non sostenuta dalla ragione teologica – del: Dove è scritto ciò che dici nella Bibbia?” – In distribuzione dal 7 gennaio 2023: “Il Pensiero che diventa Parola. Teologia trinitaria alla luce degli scritti di Maria Valtorta” (Volume 1: Excursus storico-introduttivo sulla teologia trinitaria nei secoli) – di Francesco G. Silletta – Edizioni Cattoliche La Casa di Miriam ***

Spesso capita di sentirsi porre questo tipo di domanda, talvolta con toni accesi quanto puerili nelle oggettive competenze teologiche che, proprio mediante questo tipo di domanda, alcuni vorrebbero rivendicare per se stessi. Alcune verità, infatti, nella Bibbia sono esplicitate direttamente, anche a livello letterario, mentre altre, invece, sono sottintese nel ragionamento che il lettore, alla luce del testo (e sostenuto in questo, per noi cattolici, dal Magistero), è chiamato ad effettuare, non stravolgendo con il suo pensiero le verità in oggetto, ma semplicemente intuendole come divinamente rivelate da ciò che il testo stesso, con il suo linguaggio specifico, comunica ed insegna. Facciamo un esempio tra i moltissimi possibili: dove è scritto nella Bibbia ciò che è una verità dogmatica della fede cristiana, ossia che il Figlio è “consostanziale” al Padre? Risposta: non è scritto in nessun luogo. Perché allora crediamo nella fede (dal Concilio di Nicea in poi, anno 325) questa verità? Nel Credo infatti diciamo del Figlio: “Della stessa sostanza del Padre”, ossia “consostanziale”. Perché, dunque, se non è scritto in alcun luogo? A noi, in realtà, dovrebbe bastare la risposta che ce lo insegna come verità il Magistero della Chiesa; tuttavia, chi non è fedele ad esso, si dissocia anche dai suoi dogmi, e perciò, contestandoli, va in cerca di una esclusività testuale, ossia di ciò che oggettivamente, è esplicitato nel testo biblico. In verità questo è un ragionamento solo apparentemente efficace, per le ragioni sopra anticipate. Nel testo biblico, ad esempio – in questo caso nella lettera ai Colossesi – il Figlio è detto “immagine” del Dio invisibile. Questo termine, certamente biblico, come ci spiega sant’Atanasio, è stato tuttavia respinto dal Concilio niceno a livello dogmatico, a motivo dell’uso che ne veniva fatto dagli Ariani (che negavano la coeternità del Figlio rispetto al Padre, ritenendolo una sua creatura): essi definivano appunto il Figlio come “immagine”, avvalendosi della Scrittura, ossia non identico a lui nella sostanza. Per questo, il Concilio ha preferito l’uso del termine “homoousios”, “consostanziale” (di origeniana fondazione), per esprimere l’identità di natura tra il Padre e il Figlio. […]

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