La differenza – fondamentale – fra restare in silenzio e tacere

La differenza – fondamentale – fra restare in silenzio e tacere
Nei Vangeli in diverse situazioni viene evocato il silenzio quale risposta oppure quale stato attuale di alcune figure menzionate. Fra tutte, spicca certamente il silenzio di Maria (evocato ad esempio in alcune scene del Vangelo di Luca), dinanzi ad eventi particolarmente eloquenti o singolari; ma, ancor di più, il silenzio stesso di Gesù, il suo rimanere “al di qua” del confronto verbale con un suo determinato interlocutore (casi molteplici, fra cui ad esempio quello degli accusatori della donna adultera che interrogano lui sul doverla uccidere, o la donna cananea che lo assilla di domande perché si impietosisca ad ascoltarla, o ancora – e in maniera più eloquente – i grandi silenzi processuali narrati da Giovanni).
Anche altri personaggi neotestamentari, tuttavia, vengono colti narrativamente in situazioni di silenzio – un silenzio che, alle volte, corrisponde al semplice “non rispondere nulla” ad una interrogazione, ad un’accusa o ad una interpellanza. In molti casi, questo silenzio è “messo sulla bocca” degli Apostoli stessi.
Cosa accade fenomenologicamente? Molto semplicemente, uno dice qualcosa che direttamente interpella la propria coscienza, ma non si dà adito verbale a questa interpellanza, rispondendo a propria volta. Oppure accade un fatto eloquente, che suscita stupore, o altre emozioni particolari, e tuttavia non ci si unisce al coro dei “commentatori”, che in forme loro proprie – talvolta scomposte e disordinate – danno un giudizio rispetto a quell’evento particolare.
Appunto: si rimane in silenzio. In nessun modo, tuttavia, ciò corrisponde – ci pare – all’atto puro del “tacere”. Gesù stesso, piuttosto, è descritto in certe situazioni quale intimatore attivo – a forze o soggetti avversi – di questo “tacere”, non lui stesso passivo attualizzatore di tale stato. La Parola non tace mai, infatti, né possono tacere i figli della Parola, né i suoi ricettori, né i suoi testimoni.
Tacere è un atto distinto dal silenzio poiché in quest’ultimo, senza alcuna estrinseca verbalità, una voce continua ad essere proferita, un discorso continua ad essere pronunciato, una lode, la lode di Dio, continua ad essere mantenuta viva, attuale, potente. Pur “senza dire nulla”, si parla in maniera imponente. Tacere, invece, assume un senso di remissività a tutto questo, un’alienazione rispetto alla potenza della Parola, un senso di sconfitta rispetto alla “potenza” apparente della voce altrui, che spesso è una voce di accusa, di mormorazione, di falsità e di inganno.
Impariamo allora a rimanere in silenzio, senza tacere mai rispetto alla vera Parola.
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Pubblicato da lacasadimiriam

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