Il dolcissimo flusso vitale della preghiera
La preghiera non deve essere viziata dall’ansia, dalla rabbia, dalla paura, dal senso di colpa o da qualsiasi altra forma di premessa (spesso malsana) che ne renda infruttuoso l’esito ed innaturale la stessa attuazione.
Porsi in preghiera significa preliminarmente sapere due cose fondamentali.
La prima è che se mi decido per la preghiera, è perché è Dio stesso che mi convoca dolcemente (mai con violenza) ad essa, e dunque qualunque sia la mia condizione “attuale” (di peccato, o di ansia, o di qualsiasi altra natura), ciò nonostante sono convocato da Dio alla sua presenza, non per essere castigato, ma per essere da lui ammaestrato, illuminato, orientato, perdonato ed accolto come suo figlio.
La seconda cosa è che Dio sa tutto. Nel pregare, quindi, non ho bisogno alcuno di elencare a Dio – talvolta con scomposta inquietudine – tutte le cose che avverto come problematiche della mia vita, tutte le cose che vorrei o che non vorrei che fossero, tutte le esigenze che avverto come impellenti e via dicendo. C’è il rischio, infatti, di mettere Dio dietro a tutte queste cose, quasi che esse contino di più di lui, in quanto tale, nella nostra vita, e di fatto ci mettiamo in preghiera solo per elencare a Dio una lista di favori da ottenere.
L’umiltà ci conduce ad accogliere il desiderio di preghiera – che Dio infonde in noi – come momento di riconoscimento e di incontro dell’Amato. Io prego perché ti amo, mio Dio. Non mi importa, in senso primaziale, se sono un peccatore, se fino a un attimo fa ti ho offeso, se mi manca questa o quella cosa, se il lavoro va bene o male, o qualsiasi altra necessità (familiare, economica, di salute, ecc.). In questo momento mi importa prima di tutto il fatto stesso di essere – unicamente per tua grazia – alla tua presenza. Ivi so che ogni mia necessità è contemplata, è conosciuta, ha un senso ed una
intelligibilità, insieme ad una soluzione certa, e secondo il bene di Dio. Ma questo viene dopo. Anche se fossero le spine, anziché i petali, a posarsi da domani e per sempre nella mia vita, io so che ora ci sei tu, Dio, colui che io amo davvero sopra ogni cosa, nella misura in cui in Te mi riconosco pensato, creato, amato, sostenuto, difeso, destinato al bene senza fine, cioè a Te.
E dunque, pregare mi induce anzitutto a lodarti, a contemplarti, a ringraziarti, perché mi hai dato la grazia di conoscerti, e ancora di ri-conoscerti nelle persone e nel creato, e di amarti, di benedirti, di parlarti intimamente.
Se siamo coscienti di questa intimità con Dio, dinanzi al quale staremo in eterno, allora tutto un altro peso, infinitamente minore, avranno tutte le pretese del mondo su di noi, le inquietudini della terra, le ansie, le questioni familiari e tutto ciò che costituisce il nostro mondo esistenziale, la sfera attorno alla quale, umanamente, la nostra vita gira e si muove.
Dio sopra ogni cosa, non in modo teorico, né imperativo/categorico, né forzato, ma semplice, puro, umile: io sono dinanzi a Dio nella mia preghiera: l’esterno a me, il mondo, ma anche le mie interiori inquietudini e realtà sono sempre dietro la sua paterna potestà, sottomesse alla sua invincibile autorità, obbedienti al suo dolcissimo comando.
Ed ecco allora che la preghiera non è mai monotona, è un continuo flusso di energia vitale, il flusso dello Spirito Santo nella nostra piccolissima, ma inestimabile agli occhi di Dio, dimora del cuore.
Un flusso che dona luce e pace, senza che mai possiamo né preventivarne la misura o l’estensione, poiché esse continuamente crescono in noi e ci sorprendono, e mai ne siamo sazi, poiché senza fine è la nostra sete della dolcissima voce dello Spirito.
Amen
Edizioni e Libreria Cattolica La Casa di Miriam
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