Sulla forza interiore, anti-agapica, che contrasta in noi l’amore – Meditazione serale alla Casa di Miriam del 22 agosto 2023:

Sulla forza interiore, anti-agapica, che contrasta in noi l’amore – Meditazione serale alla Casa di Miriam del 22 agosto 2023:

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Chi frequenta con assiduità l’eucaristia, ma anche chi in qualsiasi modo sperimenta contesti di studio teologico o catechetico, sente con frequenza, talvolta in modo retorico, che Dio è amore. Dirlo è molto semplice (a meno che uno non creda affatto in Dio), dal momento che, prima di tutto, è una verità che ci rivela Giovanni Apostolo nella sua prima lettera, ma che in linea di principio ce la fa intendere tutta l’economia del Nuovo Testamento. Dio però è amore che si manifesta oggettivamente come tale, non resta cioè rinchiuso nella semantica della parola, né si nasconde al di qua del suo senso più estrinsecamente inteso. Dio è amore perché tale è la sua essenza, e tale si è manifestato in Cristo. Ma allo stesso modo, siamo chiamati anche noi a manifestarci a lui, mediante un’adeguata risposta ad una simile chiamata. Qui non è più una questione di semantica della parola o di teologia dell’amore: qui è questione di imitare Dio amandolo come lui ci ha amati nel suo Figlio, senza approssimazioni esistenziali, e al contempo oggettivare a livello umano questo amore per il Trascendente Dio nell’economia quotidiana dei nostri rapporti, anche quelli niente affatto amichevoli con alcune persone. L’Amore necessita infatti sempre di un nesso pratico, di una verifica oggettiva affinché non sia soltanto dichiarato. Quanto è difficile una simile coerenza nella vita. Tanto è difficile, che alle volte sarebbe meglio non sfidare la nostra credibilità continuando a ripetere davanti alla gente che “Dio è amore”. Si dice che Giovanni Apostolo, ormai vecchissimo, non ripetesse altro. Ma qualcuno forse può obiettargli qualche incoerenza relativamente a questa professione? Tanto ha amato Gesù, da divenirne l’Amato. E il suo martirio incruento, è stato tuttavia il peggiore dei martiri, considerato che colui che più di tutti voleva oggettivare nella carne il dono di se stesso per l’Altro (che è la parafrasi che Gesù stesso pone all’amore più grande), è stato legato a questo mondo – e dunque distanziato da tale oggettivazione, fino ad un’età tardiva, soffrendo il distanziamento dell’Amato più di quanti, nell’attimo del martirio cruento, lo hanno immediatamente ritrovato. A noi spaventa molto amare, quando ciò implica donarsi all’estremo (non necessariamente con il dono del sangue, ma certamente con quello della totalità di noi stessi). Ci spaventa poiché una forza interiore, in noi, rimane anti-agapica, e non riusciamo a debellarla a motivo della nostra poca fede. La fede conduce infatti all’amore vero, all’amore nella sua pienezza di senso cristiano, che è sempre un senso estrinsecamente oggettivabile: l’amore, infatti, si manifesta, lo si vede. Giovanni, ancora, dice di averlo addirittura toccato, poiché così è stato con Gesù. A noi questa esperienza sensibile di Gesù è negata, a livello storico, ma è resa possibile a livello spirituale. In che modo? Amando. L’amore, quando si svincola dal soggettivismo, dall’idealismo, dalla carnalità, dalla vanità e da tutto ciò che di anti-agapico lo declina – trasformandolo totalmente – in una passione di natura egoistica e materiale – diviene porta del cielo, certezza di vita eterna, esorcismo dal male, liberazione. Per questo la ripetuta asserzione che Dio è amore, rischia di pesare su di noi come un’ipocrita mercanzia di significati: da un lato quello puramente semantico, che dà lustro a chi la pronuncia, dall’altro l’incoerenza nella prassi, laddove essa non si manifesta quale qualifica immediatamente visibile, sperimentabile e, proprio per questo, incoerente, in chi la promuove soltanto nell’ordine verbale. L’amore trasforma. Il passato muore. Il presente sorride. Il futuro è consegna a Dio. L’amore è tuttavia permanenza in Cristo, oggettiva, sempre. Amen

 

Pubblicato da lacasadimiriam

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