L’amore dell’altro e la trascendenza di se stessi

L’amore dell’altro e la trascendenza di se stessi
 
C’è chi soffre per il lavoro, chi per un lutto, chi per una malattia, chi per qualsiasi motivo. La vicinanza a chi soffre è la più alta forma di carità che Gesù ci offre a testimonianza del suo amore per noi e come occasione di copertura di molteplici nostri peccati, molti dei quali spesso non ci rendiamo conto nemmeno di aver commesso nella vita. L’insistenza del Vangelo e di Giovanni in modo speciale (anche nelle sue lettere) sull’amore per il prossimo (che è la testimonianza più eloquente possibile dell’amore per Dio), non è un monotono ritornello di chi non ha altri argomenti, ma la voce continua di Cristo stesso, mediante le sue “voci” apostoliche, affinché come lui ci ha amati sino alla fine (e possiamo tradurre senza eccessi: sino alla follia), così anche noi cominciamo ad uscire da noi stessi, a trascendere la nostra esperienza personale sostenendo l’esperienza dell’altro, che spesso è un’esperienza di solitudine e di dolore. La morte in tal senso non ha alcun diritto né di parola, né di soggezione su di noi, ma anzi segna il confine fra la possibilità di amare con la totalità di noi stessi dentro la storia ed il premio eterno, quantificato secondo una misura infinitamente sproporzionata in nostro favore, nel regno di Cristo, dove la vera vita incomincia per non finire mai. E perché addormentarci a questa vita, con il rammarico di un amore che si poteva compiere, e che per nostra mancanza non si è compiuto? Quella “mancanza” non griderà forse contro di noi, giunti dinanzi all’Amore divino? Cosa dobbiamo salvaguardare di noi stessi, di così importante, che non possa essere donato, vedendo nell’altro lo stesso Gesù? Usciamo via da questa strettoia diabolica dell’attaccamento a noi stessi, poiché Gesù lo dice chiaramente: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la sua vita per causa mia e per il Vangelo, la troverà”. Amen
 
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Pubblicato da lacasadimiriam

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