L’esortazione a parlare con “parresia” non è sempre sinonimo di sincerità e di giustizia in chi parla

L’esortazione a parlare con “parresia” non è sempre sinonimo di sincerità e di giustizia in chi parla. Talvolta – come ci insegna il Vangelo di Giovanni al capitolo 7 – c’è un inganno in questa “parresia”

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Se leggiamo con attenzione il capitolo 7 di Giovanni, vediamo che all’inizio c’è una esortazione data a Gesù dai suoi stessi “fratelli” (e ciò è molto emblematico), affinché Gesù vada a Gerusalemme e lì parli con “parresia”, cioè con pubblica franchezza. Letteralmente il testo di Giovanni dice: “Nessuno agisce di nascosto, se vuole essere riconosciuto pubblicamente”. Queste parole, che esortano Gesù a parlare “con parrésia”, nascondono un inganno. Esse, infatti, sono finalizzate sia ad accusare ingiustamente Gesù di “codardia” (il testo inizia dicendo che Gesù non voleva più andare in Giudea, poiché ivi cercavano di ucciderlo”, 7,1), sia a porre a rischio, mediante quella “parresia”, la sua stessa vita. E perché tutto questo? Giovanni lo dice chiaramente: “Neppure i suoi fratelli credevano in lui” (7,5). Non si deve, quindi, anche oggi, enfatizzare abusivamente l’idea di libertà e di uguaglianza che deriva dal termine “parresia”. Esso non è infatti sempre sinonimo di una giustizia comunicazionale. In alcuni casi esso espone il soggetto che parla con parresia a degli inganni invisibili e impercettibili, non solo per lui che parla, ma anche per chi lo esorta in tal senso. Anche quei fratelli di Gesù, infatti, con la loro esortazione data a Gesù, hanno posto se stessi nella condizione di peccato ed esposto Gesù a pericoli che la sua sapienza, preventivamente, conosceva già.

 

Pubblicato da lacasadimiriam

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