La contemplazione estatica del Vangelo
Quando si legge il Vangelo non per un semplice, umano, desiderio di conoscenza da aggiungere ad altre conoscenze (sebbene questa non sia una cosa in sé cattiva), bensì piuttosto con un trasporto interiore che induce a contemplare, più che non a leggere, ciò che ivi è scritto, ebbene, si vivono dei continui sussulti spirituali ad ogni versetto, tanto pregnanti e coinvolgenti che ci si deve fermare e meditare, rimeditare e amalgamare ciò che si è contemplato, confrontarlo con il proprio vissuto, prima di proseguire oltre. Questo tipo di esperienza la si vive quando con “rassegnazione” (si passi il termine) ci si rende conto della propria miserabile condizione di peccatori che, nella sua infinita misericordia, Gesù Cristo è venuto a redimere, patendo ogni genere di sofferenza unicamente al fine di salvarci e di liberarci. E noi, ancora, stentiamo a credere in lui. Questa coscienza è dilaniante nello spirito. Contemplare nei Vangeli come prosegue la storia di Gesù, quale epilogo di rifiuto umano, di ripudio, di diniego e di sofferenza lo attende, stringe tanto di più il cuore quanto di più si è consapevoli della propria attiva, cosciente e reiterata partecipazione al dramma umano patito da Gesù. E nulla si può fare – come ci testimonia l’esaltata vicenda di san Pietro a ridosso della passione di Gesù – affinché tutto quel mare di sofferenza sia evitato: Gesù deve patire, perché lo vuole lui stesso in obbedienza al Padre. Come può l’anima umana rimanere indifferente a ciò che, dagli angeli al più insignificante elemento del creato, fosse pure l’ultimo filo d’erba della terra, viene vissuto con sgomento e passione? Come possiamo alienare il Vangelo della nostra salvezza – la quale è resa oggettiva, nella sua necessità, dallo specchio sui nostri giorni che riflette quanto sia breve e difficoltosa la nostra vita e bisognosa di una redenzione che solo Dio può donare – dalla nostra interiore esistenza? Senza il Vangelo non siamo capaci nemmeno di comprenderci come entità viventi in questo mondo, in questo secolo, in questo attimo, e quando pensiamo di aver umanamente, da noi stessi, compreso qualcosa, gli eventi da se stessi ci fanno capire che non abbiamo capito nulla, che ci siamo sbagliati e che dipende dalla divina parola ciò che di noi stessi possiamo comprendere. Ci sono stati dei santi e delle sante che meditando il Vangelo avevano dei sussulti interiori incontrollabili. Un esempio fra i tanti ci è dato da santa Matilde, che viveva delle estasi soltanto leggendo il Vangelo. Noi non dobbiamo e non possiamo estraniarci dal dono della divina parola che il Vangelo in modo straordinario e singolarissimo ci offre; né possiamo ridurre l’evento – perché tale è – della contemplazione del Vangelo ad un freddo, gelido esame delle fonti, della lettera, delle parole in esso presenti. Il cuore umano ha sete del Vangelo e solo una satanica commistione può celare ciò che, nella sua natura, l’uomo desidera conoscere più di qualsiasi altro mistero possibile: Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nella sua economia storica in mezzo a noi. Amen