Commento spirituale a Ger 46,5c – “Fuggono a precipizio senza voltarsi; il terrore è tutto intorno” –
Edizioni e Libreria Cattolica La Casa di Miriam –
Dice il testo: “Fuggono a precipizio, senza voltarsi; il terrore è tutto intorno” (Ger 46,5c). Qui non ci interessa il contesto in cui l’autore sta parlando, il momento narrativo in cui inserisce queste parole. Ci interessano queste ultime di per se stesse, come volendo astrarle dal testo per la nostra riflessione.
Ecco, dice il testo: “Fuggono a precipizio, senza voltarsi”. Ci viene da pensare, in questo momento, alle anime perdute, ai nostri fratelli che in maniera ultimativa hanno preferito le tenebre alla luce.
E noi? Qui è il momento di interrogarci realmente sull’indirizzo che ha assunto la nostra esistenza rispetto alle nostre scelte. L’effetto finale lo conosciamo, il testo stesso ce lo annuncia: “Terrore tutto intorno”. Questo è il destino di quanti non rassegnano la propria superbia, sino all’ultimo istante della propria esistenza, all’amore di Cristo. Ma ecco che qui possiamo entrare in scena anche noi, domandandoci appunto quale genere di rapporto, fra le tenebre e la luce, noi istituiamo nel nostro presente. Perché il fatto di guardare a chi ha già lasciato questo mondo – e in una maniera purtroppo fallimentare – non deve illuderci di essere estranei in maniera certa a questo destino. Vi è un fattore determinante, infatti, che non dipende dal soggetto, a differenza della sua scelta libera contro Cristo. Questo fattore è la chiamata di Cristo stesso, il suo far ritornare l’uomo in polvere nel momento in cui questi non lo sa, non lo immagina e non lo aspetta.
Ecco perché anche noi dobbiamo sentirci in qualche modo – purtroppo – solidali con quelle anime sopraccitate: non in quanto alla risoluzione finale (dal momento che per loro l’atto definitivo si è già compiuto), ma proprio nel fatto che, se per noi non si è compiuto, ciò non dipende tanto da nostri meriti speciali – perché anche noi con le nostre colpe avremmo meritato la medesima sorte – bensì dalla scelta (misteriosa e inconoscibile) di Cristo stesso di preservarci, rimandando nel tempo, quella stessa chiamata a sé con la quale invece, ad un certo momento, ha chiamato quelle anime.
Ossia: noi siamo ancora qui, nonostante le tenebre oscure dei nostri peccati. Abbiamo cioè ancora del tempo per rimediare, per espiare, per acquisire dei meriti che sopperiscano alle nostre cattive azioni. Tutto questo unicamente per la grazia di Cristo, che ci concede ancora del tempo a disposizione, nonostante tutto.
Possiamo riflettere, in tal senso, su quante volte, nella nostra esperienza terrena sin qui maturata, Cristo avrebbe potuto sorprenderci chiamandoci a sé nell’ora del peccato, magari senza darci il tempo di un ravvedimento, di un pentimento, di una conversione. Forse ciò, nella nostra vita personale, si è verificato molte volte. E nonostante tutto, ancora, riprendiamo la via antica della colpa, della seduzione, della superficialità, quasi che il tempo futuro sia qualcosa di certo, di scontato e poi alla fine – chissà come – ci venga automaticamente elargita la salvezza.
No. Dobbiamo fare tesoro della misericordia di Dio in un senso di re-investimento della nostra esistenza alla luce di quella. Se è vero che la misericordia divina è infinita, è anche vero che non è infinito il tempo terreno a nostra disposizione perché essa fruttifichi nella nostra vita.
Adeguiamoci allora alla misura di Dio. Risaliamo dal male che noi stessi abbiamo compiuto, e compiuto in maniera reiterata, in maniera funzionale alla luce che attraverso la sua grazia Cristo ci pone davanti. Perché ogni occasione persa, rischia di diventare l’ultima. Dunque quale differenza esiste fra noi e i dannati? La misericordia di Cristo in cui crediamo e che utilizziamo per il bene, affinché del male compiuto non rimanga alcunché, se non un processo di trasformazione delle tenebre in luce con le quali illuminare noi stessi ed il mondo accanto a noi.
Amen
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