L’Arca dell’Alleanza nell’economia davidica (1)
(La Casa di Miriam Torino – Studi Biblici)
La relazione materna che l’Arca ha con Israele raggiunge la sua espressione più alta nella storia di Davide, in particolar modo nella sezione dedicata alla sua ascesa al trono. Nessuno, infatti, più di Davide sembra esprimere una relazione di figliolanza nei confronti dell’Arca. Ora, la redazione di 2Sam 6 rielabora un avvenimento fondamentale, ossia il trasferimento dell’Arca a Gerusalemme. Questo evento, a nostro avviso, risulta ancora più decisivo del suo stesso trasferimento nel Tempio costruito in seguito da Salomone, poiché entrando la prima volta in Gerusalemme l’Arca rende questa città la vera madre del popolo Israelita, facendola per questo divenire l’unica capitale della religione di Jahvè.
Il re Davide, del resto, ci pare una figura privilegiata, rispetto al suo stesso figlio Salomone, ad esprimere questa relazione “materna” con cui Dio si manifesta al suo popolo eletto. Infatti, nell’ordine di una lodevole obbedienza filiale, Davide riconosce l’avvenimento che sta per compiere, il trasferimento dell’Arca presso Gerusalemme, nell’ordine di una filiazione rispetto all’Arca stessa, alla luce della quale convoca previamente tutta l’ekklesìa per darne notizia, come scritto in 1Cr 1,2-3:
“A tutta l’assemblea d’Israele Davide disse: “Se vi sembra bene e se il Signore, nostro Dio, lo consente, comunichiamo ai nostri fratelli rimasti in tutti i territori d’Israele, ai sacerdoti e ai leviti nelle città dei loro pascoli, di radunarsi presso di noi. Così riporteremo l’Arca del nostro Dio qui presso di noi, perché non ce ne siamo più curati dal tempo di Saul”.
Anticipando un linguaggio neotestamentario, possiamo affermare che in questo episodio è tutta la Chiesa che si stringe attorno alla Madre. Ad ogni modo, ottenuto il consenso dell’assemblea, Davide, attua il proprio proponimento filiale, come scritto in 2Sam 6,2-3:
“Si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per far salire di là l’Arca di Dio, sulla quale si proclama il nome del Signore degli eserciti, che siede sui cherubini. Posero l’Arca di Dio sopra un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadàb che era sul colle; Uzzà e Achio, figli di Abinadàb, conducevano il carro nuovo”.
La città denominata Baalà di Giuda, presso cui Davide e i suoi uomini si recano a recuperare l’Arca secondo questo testo appena citato, è in realtà la stessa città di Kiriat–Iearim, dove avevamo lasciato l’Arca presso la custodia di Eleazaro. Questo ci permette di far coincidere le due scene mediante una continuità geografica: l’Arca, in questo momento culminante della sua migrazione, segue un itinerario geografico di una quindicina di chilometri circa, gli stessi che separano la località di Kiriat–Iearim da Gerusalemme.
Ora, il clima di festa che questo trasferimento dell’Arca produce in Davide, viene bruscamente raggelato da un episodio doloroso e apparentemente incomprensibile, riportato in 2Sam 6,6-8:
“Giunti all’aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l’Arca di Dio e la sostenne, perché i buoi vacillavano. L’ira del Signore si accese contro Uzzà: Dio lo percosse per la sua negligenza ed egli morì sul posto, presso l’Arca di Dio. Davide si rattristò per il fatto che il Signore aveva aperto una breccia contro Uzzà; quel luogo fu chiamato Peres-Uzzà fino ad oggi”.
La colpa oggettiva di Uzzà, al quale il redattore attribuisce un così pesante castigo divino, appartiene probabilmente all’ordine della trasgressione rituale circa il rispetto degli oggetti sacri (cfr. Lv 16,2; Nm 4,15; 18,3), ma potrebbe invadere anche una sfera personale della coscienza del castigato, Uzzà, reo in quest’ipotesi di una disobbedienza filiale rispetto alla fede in Dio: vedendo vacillare l’Arca, egli avrebbe anteposto la propria sollecitudine umana alla volontà vigile e paterna di Dio.
Ad ogni modo, la scena produce un profondo sgomento in Davide, il quale vive in quel frangente un’esperienza particolare di misconoscenza filiale. Dice, infatti, l’attonito re in 2Sam 6,9:
“Come potrà venire da me l’arca del Signore?”.
L’esperienza di quanto accaduto ad Uzzà costituisce per Davide una perdita dell’orientamento filiale, che lo conduce a demordere dall’iniziativa presa. Non riconoscendosi più, infatti, come figlio-diletto, il re perde di vista anche quella relazione materna che l’Arca, ormai prossima ad entrare nella sua Casa, è destinata ad instaurare con lui. Per questa ragione, come riporta il testo biblico di 2Sam 6,10-11:
“Davide non volle trasferire l’Arca del Signore presso di sè nella Città di Davide, ma la fece dirottare in casa di Obed-Èdom di Gat. L’Arca del Signore rimase tre mesi nella casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa”.
Ora, compiendo anche quest’altra migrazione, l’Arca rimane presso la casa di Obed-Èdom per tre mesi, durante i quali, come riporta il testo biblico di 1Sam 6,11:
“Il Signore benedisse Obed-Èdom e tutta la sua casa”.
L’Arca, dunque, se accolta secondo il proprio dinamismo materno, è fonte di benedizione per i propri figli. Ecco quindi che lo stesso Davide, alla notizia di questa benedizione, ritorna sui propri passi e, con gioia, fa trasportare l’Arca dalla casa di Obed-Èdom a Gerusalemme. Il particolare della gioia davidica, che è ovviamente un sentimento descritto secondo l’ordine filiale del suo rapporto con l’Arca, viene particolarmente evidenziato dalla redazione biblica, con coloriture addirittura eclatanti. A riguardo, infatti, l’autore sacro scrive che:
“Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Ora Davide era cinto di un efod di lino. Così Davide e tutta la casa d’Israele trasportavano l’Arca del Signore con tripudi e a suon di tromba” (2 Sam 6,14-15).
La gioia di Davide di fronte all’Arca dell’Alleanza, il cui ingresso nella sua Casa è ormai imminente, calca una coloritura così pregnante da suscitare lo stupore ed al contempo l’invidia della moglie Mikal, figlia di Saul, che per questo lo rimprovera. Al di là di questo, tuttavia, Davide manifesta nella carne, attraverso la danza, la gioiosa relazione filiale rispetto all’Arca, che è per lui e per tutto Israele la madre nella fede.
Ciò che invece qui ci interessa, a conclusione di questo articolo, è l’effettivo insediamento dell’Arca dell’Alleanza nella Città di Davide, la cui portata teologica è enorme per tutta l’economia biblica. Da questo momento, infatti, Gerusalemme non è soltanto la Città di Davide, ma anche oggettivamente la sede centrale del culto jahvista e l’espressione materna del rivelarsi divino, come riconosciuto dallo stesso Signore in Lc 13,34:
“Gerusalemme, Gerusalemme […], quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!”.
Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam Torino (Studi Biblici)