Lotta, opposizione e misericordia nel Salmo 72

Lotta, opposizione e misericordia nel Salmo 72

 
Il Salmo 72 (greco) enfatizza la condizione di colui che, oppresso nel vedere i successi umani dei suoi nemici, la loro continua proliferazione sulla terra, sente il peso della sua lotta rispetto ad essi e vacilla, fin quasi a perdere l’orientamento personale. Perché continuare a combattere, perché insistere su un certo ordine di percorso, se pare esattamente il sentiero inverso quello fruttuoso e stimolante? Il contatto con il dubbio, persino la momentanea resa, costituiscono tuttavia per costui un principio di rinnovata speranza: trovarsi proprio in quella condizione che a monte si era cercato di evitare con tutto se stesso, esprime ora la bellezza dell’originaria ambizione, nonostante tutte le fatiche intrinseche ad una simile scalata. Ecco alcune parole particolarmente emblematiche:
“Per poco non inciampavano i miei piedi,
per un nulla vacillavano i miei passi,
perché ho invidiato i prepotenti,
vedendo la prosperità dei malvagi [Sal 72,2-3)”
Questo è il contesto previo dell’osservazione del salmista, che riconosce se stesso trafitto dalla tentazione di demordere rispetto alla giusta sequela. L’autore elabora a fondo la propria lamentazione, esprimendo una specifica eziologia del suo disappunto spirituale:
“Dell’orgoglio si fanno una collana,
e la violenza è il loro vestito” (72,6)
ed ancora:
“Dicono: Come può saperlo Dio?
C’è forse conoscenza nell’Altissimo?” (72,11)
Questa si chiama visione estrinseca del fenomeno, una misurazione del reale a partire da ciò che esteriormente appare come vero. Una situazione che riguarda anche molti di noi oggi, nel vedere ad esempio il dilagare del male, la “buona salute” di coloro che lo compiono. Tuttavia non è questa la realtà delle cose, non su di essa giace la verità del creato.
Il salmista ne prende sempre più coscienza, dicendo poi:
“Riflettevo per comprendere,
ma fu arduo agli occhi miei,
finché non entrai nel santuario di Dio
e compresi qual è la loro fine.
Ecco, li poni in luoghi scivolosi,
li fai precipitare in rovina.
Come sono distrutti in un istante,
sono finiti, periscono di spavento” (72,16-19).
Osserviamo come il salmista pervenga a queste considerazioni non senza un combattimento previo con se stesso, che egli stesso esprime bene attraverso alcune precisazioni linguistiche. Anzitutto la necessità di una “riflessione per comprendere”. Riflettere, cioè rispecchiare attraverso una nuova elaborazione interiore ciò che estrinsecamente appare come definitivo, indubitabile. E questo, dice ancora il salmista, fu “arduo”. Il punto archimedeo, la luce illuminante non perviene tuttavia dall’incontro con se stesso o dalla stessa ‘riflessione’ che l’autore ammette di aver fatto: no, essi sono atti importanti, preliminari, ma non decisivi. Dall’alto, infatti, deriva la comprensione delle cose, da quel “entrare nel santuario di Dio” che produce l’auspicata (e reale) comprensione delle cose.
Ora sì, tutto appare secondo una diversa impostazione di significato. Non occorre, anzi, è pernicioso soltanto supporre che io mi adegui al reale, essendo questo, per come si presenta, destinato alla rovina. Non io, allora, “insieme con” coloro che paiono felici pur a danno del loro prossimo, bensì inversamente la tensione va polarizzata attorno alla luce di quel santuario, la dimora divina, da cui deriva il bene e il retto ordine delle cose.
Non resta allora che “ritrattare”, ammettere l’abbattimento interiore e con nuovo coraggio riprendere la via maestra:
“Quando si agitava il mio cuore e nell’intimo mi tormentavo
io ero stolto e non capivo,
davanti a te stavo come una bestia.
Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra” (72,21-23).
La consolazione e la salvezza vengono da Dio, sebbene l’uomo possa precipitare in una condizione personale simile a quella delle bestie. Le cause qui sono molte e diverse, pur tuttavia ognuna considerata dalla mansuetudine redentrice di colui che, nonostante tutto, porge ancora “la sua destra” quale ancora di salvezza.
(Francesco G. Silletta – Teol. dogm.)
 
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