L’esclusività di Dio nella creazione della donna

Dal nostro studio sulla Teologia del corpo di Giovanni Paolo II

estratto dalla tesi di Laurea di Francesco Gastone Silletta

 

3. Il passaggio di comprensione dall’uomo ‘adam all’uomo ‘ish-‘ishshah: l’esclusività di Dio nella creazione della donna

 

          La solitudine originaria dell’uomo viene colmata con la creazione della donna. Il testo di riferimento è Gen 2,21-23, la cui importanza è capillare per la comprensione antropologica dell’uomo. In questo senso è fondamentale un processo analitico del linguaggio utilizzato dall’autore Jahvista. Il linguaggio, infatti, segna il testo in profondità, per cui al di là di un certo antropomorfismo terminologico esso permette una comprensione chiara ed evidente del significato. Nel caso specifico, si ha di fronte un linguaggio mitico, ove per “mito” si intende “un modo arcaico di esprimere un contenuto più profondo”[1]. Il racconto della creazione della donna, infatti, procede per simbologie, utilizzando un bagaglio terminologico tipico della cultura di composizione e legato alla tradizione Jahvista di riferimento. Tuttavia esso oltrepassa significativamente la limitatezza scritturistica attraverso la forza concettuale che essa stessa sottende, permettendo un passaggio ermeneutico dal significante al significato che produce la comprensione delle grandi verità antropologiche contenute in questo racconto.

           L’uomo, ancora indiffernziatamente sessuato e per questo chiamato genericamente ‘adam, cade in un grande e profondo torpore (Gen 2,21). La parola ebraica equivalente a “torpore” è tardemah, grecizzato con ekstasis. L’analisi del linguaggio porta ad una prima grande comprensione: l’uomo non partecipa per nulla alla creazione della donna, poiché “Dio fece scendere su di lui un profondo sonno”, riservando a se stesso, unicamente a sé, la creazione della donna, come accaduto per l’uomo e le altre creature. Il sonno dell’uomo è un dato archetipico, rappresenta specificatamente un non-essere, un annullamento. Ciò che è esclusivo di Dio, la creazione della donna, sembra far calare l’uomo in uno stato di profonda attesa, appunto un ritorno al non essere dopo l’esperienza della propria solitudine, affinché “quell’uomo solitario possa riemergere, per iniziativa creatrice di Dio, nella sua duplice unità di maschio e femmina”. [2] È molto importante soffermarsi a riflettere sulla creazione della donna nella prospettiva dell’atteggiamento creativo di Dio e dell’uomo ‘adam. Quel “torpore” di Gen 2,21, infatti, ha una forza espressiva assai notevole, considerata anche la valenza semantica del termine presso la cultura ebraica. Esso indica una dimensione “altra”, che potremmo definire uno “spazio profetico”, come nel caso di Gen 15,1ss, dove viene narrato ciò che Abramo vede “in visione”[3]. È significativo che ad ogni torpore corrisponda un’azione divina, la creazione della donna nel caso di Gen 2,21, l’alleanza con Abramo in Gen 15,1ss.

          La natura fisiologica di questo torpore non è chiara né evidenziata dettagliatamente nel testo biblico, tuttavia appare fortemente legata al concetto di sonno, stato di non coscienza. Addirittura, come nel caso in analisi, quel torpore evoca una condizione esplicita di non essere, un ritorno ad una condizione pre-creazionale dell’uomo originario. Questo torpore, tuttavia, non va interpretato psicanaliticamente, volendo significare in termini freudiani uno stato di incoscienza capace di risvegliare contenuti sessuali. L’uomo ‘adam, infatti, non ha ancora una coscienza sessuale, in quanto non è ancora differenzialmente sessuato, pur avendo una natura ed una consapevolezza corporea.

          In questo contesto Dio crea la donna, utilizzando, secondo il testo genesiaco, come strumento lo stesso uomo. Qui il racconto subisce una svolta fondamentale ed ancora una volta è imprescindibile una comprensione di tipo linguistico.

          Il linguaggio utilizzato dall’autore Jahvista, infatti, talvolta dal carattere fortemente metaforico, “aiuta a comprendere in modo ancora più profondo la fondamentale verità, ivi racchiusa, sull’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio come uomo e donna”[4]. Prescindendo qui dal discorso dogmatico sull’analogia tra l’in sé divino e la differenziazione sessuata maschio- femmina, occorre tuttavia sottolineare come dal punto di vista della filosofia personalistica con questo testo si stia entrando finalmente alla costituzione della pienezza della persona, la quale senza questa bipolarità uomo-donna non può sostanzialmente essere riconosciuta come tale poiché si prescinde dalla logica del dono contenuto nel concetto di persona stessa. È vero, inoltre, che nemmeno l’essere immagine di Dio ha una sua sussistenza ontologica se privato della dualità maschio-femmina.

            La creazione della donna avviene “dall’uomo”, in quanto l’autore genesiaco dice che “Dio gli tolse una costola e richiuse la carne al suo posto. Con quella costola il Signore formò la donna e la condusse all’uomo” (Gen 2,21-22). Una capacità ermeneutica di carattere scientifico e non soltanto pressappochista è in grado di oltrepassare il “maschilismo” latente che si potrebbe cogliere da una prima lettura frettolosa di questo testo. La donna, infatti, potrebbe, e di fatto lo è stata nei secoli, essere considerata come una creazione seconda rispetto all’uomo, un essere la cui essenza stessa deriva dall’uomo e pertanto ciò ne implicherebbe un valore ontologico inferiore. Il fine del testo, tuttavia, sembra procedere in tutt’altra direzione. La donna è formata da una costola dell’uomo poiché la costola stessa, nel linguaggio cuneiforme sumerico, rappresenta la vita, per cui, influenzato indubbiamente dalla cultura sumerica, anche il linguaggio biblico protende ad una sottolineatura e valorizzazione della donna originaria come appartenente alla stessa specie dell’uomo e pertanto meritevole della stessa dignità primaria rispetto a tutta la creazione[5].

             È la stessa linea di pensiero che l’autore elohista-sacerdotale esprime più pragmaticamente nell’unica e apodittica asserzione “maschio e femmina li creò”. Si nota pertanto la più completa antitesi fra il valore ermeneutico del racconto della creazione e la concezione femminile contenuta in buona parte della filosofia greca, nella tradizione medievale, come pure nella stessa cultura rabbinica post-abramitica e, ad onor del vero, anche in diverse frange cristiane della patristica e della cultura cattolica pre-wojtyliana.

           In verità il valore di Gen 2,21-22 è proprio la risposta più adeguata a qualsiasi filosofia misogina che propugni una subordinazione genetica della donna rispetto all’uomo: “La donna viene creata da Dio dalla costola dell’uomo ed è posta come un altro “io”, come un interlocutore accanto all’uomo, il quale nel mondo circostante delle creature animate è solo e non trova in nessuna di esse un “aiuto” adatto a sé”[6]. È da notare, inoltre, come lo stesso linguaggio prosegua diversamente dal punto di vista terminologico una volta creata la donna. L’uomo non è più, infatti, inteso genericamente come ‘adam, bensì ora viene sessualmente differenziato  come ‘ish –‘ishsha, maschio-femmina, nel senso che, come si vedrà nel paragrafo seguente, l’uomo giunge alla piena comprensione della bi-morfologia sessuale nella quale l’adam si rivela immagine di Dio, nel reciproco guardarsi, comprendersi e amarsi dell’uomo maschio-femmina.

          È questo il più fondamentale momento di consapevolezza antropologica di tutta l’economia biblica veterotestamentaria, solo l’essere immagine in Cristo di fatto oltrepassa, per importanza antropologica, la comprensione della differenziazione sessuata costitutiva dell’essere umano, pur tuttavia presupponendola e, se si vuole, completandola nell’accezione dell’uomo maschio-femmina figlio nel Figlio.

           Sono così date le premesse empiriche perché, al risveglio dal suo torpore, l’uomo creato ad immagine di Dio possa ora scoprire come questo suo essere immagine si attualizzi pienamente solo nella creazione di quell’ aiuto che Dio ha stabilito per lui ed avente la sua medesima sostanza umana: la donna.

 
 
 
-Fonte: Francesco Gastone Silletta –  La Casa di Miriam Torino 



[1] GIOVANNI PAOLO II, Uomo e donna lo creò, op. cit., p. 54.

[2] Ivi, p. 55.

[3] AA. VV., La reciprocità uomo-donna via di spiritualità coniugale e famigliare, Atti della Quinta Settimana Nazionale di studi sulla spiritualità familiare e coniugale promossa dalla CEI, Rocca di Papa, 24 – 29 aprile 2001, Città Nuova, Roma 2001, p. 36.

[4] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Mulieris Dignitatem, n. 6

[5] Cfr. IDEM, Uomo e donna lo creò, op. cit., p. 56.

[6] IDEM, Lett. Ap. Mulieris Dignitatem, n. 6.

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