Meditazione ed hesychia

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Nell’antichità “meditare” significava “mormorare delle parole”, “biascicare delle frasi”. Assunta a livello spirituale, questa definizione ci aiuta a comprendere cosa significhi “meditare”, ad esempio, la passione di Gesù, il suo insegnamento o lo stesso Vangelo. Non è uno “studio”. L’intelletto è coinvolto, sì, ma non al fine di una conoscenza da acquisire; la meditazione non è cioè un movimento del soggetto verso se stesso, ma del soggetto verso Dio, che non ha bisogno di nozioni e intellettualismi. Si tratta piuttosto di una consegna, di un dialogo “segreto” con Dio (sebbene possa avvenire insieme ad altre persone), la cui “forma”, nel senso di ciò che lo caratterizza in modo vitale, è la “quiete interiore” (o l’hesychia dei greci). La quiete è tuttavia una realtà che il soggetto deve cercare nel suo spirito, non gli è data da se stessa. E qualcosa, sempre, la minaccia, nel senso che attenta ad essa. Dio solo può donarla, in modo tale che la “meditazione” sia autentica e fruttuosa, e perciò essa deve a sua volta essere domandata con fede. In questo contesto, la “meditazione” si struttura con autenticità e sostanza vitale: Dio è presente, dove il silenzio abita nell’intimo personale, ed ogni cosa viene attualmente abdicata per rimanere alla presenza di Dio nella meditazione del suo mistero. Amen
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