Blaise Pascal

Blaise Pascal

Dal libro “I pensieri”, n. 194

Titolo originale: Pensées de M. Pascal sur la religion et sur quelques autres sujets. Qui ont été trouvées après sa mort parmi ses papiers – Parigi 1670. [Ed. italiana a cura di ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1987, pp. 186-191]

Blaise Pascal

“ […] L’immortalità dell’anima è una cosa che ci interessa così vivamente e ci riguarda così profondamente, che bisogna proprio avere perduto ogni sensibilità per restare nell’indifferenza di sapere che ne è. Tutte le nostre azioni e i nostri pensieri devono prendere vie così diverse, a seconda che ci siano dei beni eterni da sperare oppure no, che è impossibile fare un passo con accortezza e con giudizio senza misurarlo con la visione di quel punto che deve essere il nostro ultimo obiettivo. Per questo il nostro primo interesse e il nostro primo dovere consiste nell’illuminarci su questo punto da cui dipende tutta la nostra condotta. Ed è per questo che, a proposito di coloro che non ne sono convinti, faccio una netta differenza fra coloro che con tutti i loro sforzi si adoperano per istruirsi e coloro che vivono senza preccuparsene e senza pensarci.

Posso avere solo compassione per coloro che gemono sinceramente in questo dubbio, lo considerano come la peggiore delle disgrazie e, non risparmiando nulla per uscirne, fanno di questa ricerca la loro principale e più seria occupazione. Ma coloro che passano la vita senza pensare a quest’ultimo fine della vita – e che, per il solo fatto di non trovare in se stessi i lumi che li convincano di ciò, trascurano di cercarli altrove e non esaminano a fondo se tale opinione è di quelle che il popolo accoglie con una credula semplicità oppure di quelle che, sebbene oscure per se stesse, hanno però un fondamento solidissimo e incrollabile – io li considero in un modo del tutto differente.

Questa negligenza in un affare che riguarda loro stessi, la loro eternità, il loro tutto, mi irrita piuttosto che impietosirmi; mi stupisce e mi spaventa; è per me una cosa mostruosa. Non parlo così per il pio zelo di una devozione spirituale. Voglio dire invece che si deve avere questo sentimento per un principio di interesse umano e per un interesse d’amor proprio, e che per questo non bisogna vedere se non quello che vedono le persone anche meno illuminate.

Blaise Pascal 4

Non c’è bisogno di un’anima molto elevata per capire che quaggiù non esiste alcuna soddisfazione vera e duratura, che tutti i nostri piaceri sono soltanto vanità, che i nostri mali sono infiniti e che infine la morte, la quale ci minaccia in ogni momento, ci metterà in pochi anni nell’orribile necessità di essere eternamente o annientati o infelici.

Non c’è nulla di più reale e di più terribile di questo. Facciamo gli smargiassi finché vogliamo: ecco la fine riservata alla più bella vita del mondo. Rifletteteci un poco e ditemi se non è indubitabile che non c’è altro bene in questa vita al di fuori della speranza di un’altra vita, che non siamo felici se non a misura che ci avviciniamo ad essa e che, come non ci sarà più infelicità per coloro che avevano una piena sicurezza dell’eternità, così non ci sarà felicità per coloro che non ne hanno alcuna idea.

È dunque certamente un gran male trovarsi in questo dubbio, ma è almeno un dovere indispensabile cercare, quando si è nel dubbio; e per questo chi dubita e non cerca è insieme abbastanza infelice e abbastanza ingiusto. E se costui rimane tranquillo e soddisfatto di ciò, se ne vanta e infine ne fa un motivo di gioia e di vanità, allora non trovo un termine adatto per una creatura così stravagante.

Da che cosa possono nascere questi sentimenti? Quale motivo di gioia c’è nel non aspettarsi se non miserie senza scampo? Qual motivo di vanità a vedersi dentro oscurità impenetrabili? E come è ammissibile un simile ragionamento in un uomo ragionevole?

“Non so chi mi ha messo al mondo, né che cosa è il mondo, né chi sono io; mi trovo in una terribile ignoranza di tutte le cose; ignoro che cosa sia il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa parte del mio io che pensa quel che dico, riflette su tutto e su se stessa e ignora se stessa tanto quanto tutto il resto.

Sole Kriševac

“Vedo quegli spaventevoli spazi dell’universo che mi tengono prigioniero, e mi trovo segregato in un angolo di questa vasta distesa, senza sapere perché sono collocato in questo luogo piuttosto che in un altro, perché il poco di tempo che mi è dato di vivere mi è stato assegnato in questo punto piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e che mi seguirà. Non vedo che infinità da tutte le parti, le quali mi rinserrano come un atomo e come un’ombra che dura un istante e non ritorna. Tutto quello che so è che devo presto morire; ma quello che ignoro di più è questa morte stessa che non potrei evitare.

“Come non so donde vengo, così non so neppure dove vado; e so soltanto che, uscendo da questo mondo, piombo per sempre o nel nulla o nelle mani di un Dio irritato, senza sapere quale di queste due condizioni mi toccherà in eterno. Questo è il mio stato, pieno di debolezza e incertezza. E da tutto questo concludo che devo dunque trascorrere tutti i giorni della mia vita senza preoccuparmi di cercare quello che mi deve accadere. Forse potrei trovare un po’ di luce nei miei dubbi; ma non voglio interessarmene né muovere un dito per cercarla; anzi, trattando con disprezzo coloro che si danno pena di questo pensiero, voglio, senza previdenza e senza timore, affrontare un avvenimento così grande e lasciarmi condurre neghittosamente alla morte, nell’incertezza dell’eternità della mia futura condizione”.

Chi vorrebbe avere per amico uno che parlasse in questo modo? Chi lo sceglierebbe tra tanti per comunicargli i propri segreti? Chi ricorrerebbe a lui nelle afflizioni? E infine, a quale uso della vita lo si potrebbe destinare?

A dire il vero, è un onore per la religione avere come nemici uomini così irragionevoli; e la loro opposizione è così poco pericolosa che essa se ne serve addirittura per confermare le sue verità.

Perché la fede cristiana non mira quasi ad altro che a stabilire queste due cose: la corruzione della natura e la redenzione di Gesù Cristo. Orbene, io sostengo che se essi non servono a mostrare la verità della redenzione con la santità dei loro costumi, servono almeno meravigliosamente a mostrare la corruzione della natura con i loro sentimenti così snaturati.

Clermont-Ferrand

Niente è così importante per l’uomo quanto il suo stato; niente gli è tanto temibile quanto l’eternità. E quindi non è affatto naturale che si trovino degli uomini indifferenti alla perdita del loro essere e al pericolo di una eternità di miserie. Questi però si comportano ben diversamente nei riguardi delle altre cose: temono perfino le cose più insignificanti, le prevedono, le sentono; e quel tale che passa tanti giorni e tante notti nella rabbia e nella disperazione per la perdita di un posto o per qualche offesa immaginaria fatta al suo onore, è lo stesso che sa di dover perdere tutto con la morte, e non se ne preoccupa né sente alcuna emozione. È mostruoso vedere in uno stesso cuore e nello stesso momento tanta sensibilità per cose da nulla, e tanta strana insensibilità per le cose importanti. È questo un incantesimo incomprensibile e un assopimento soprannaturale che è indice di una forza onnipotente che lo causa.

Ci deve essere uno strano capovolgimento nella natura dell’uomo per gloriarsi di essere in questo stato, nel quale pare incredibile che si possa trovare anche una sola persona. Tuttavia l’esperienza me ne fa vedere un così gran numero che il fatto sarebbe sorprendente se non sapessimo che la maggioranza di quelli che se ne gloriano sono mascherati e non sono effettivamente tali. Si tratta di persone le quali hanno sentito dire che le belle maniere mondane consistono nel fare lo stravagante. E questo è ciò che chiamano scuotere il giogo e che cercano di imitare. Ma non sarebbe difficile far capire loro quanto si ingannino cercando la stima in tal modo. Non è questo il mezzo di acquistarla, anche tra le persone del mondo che giudicano rettamente le cose e sanno che la sola via per riuscirvi consiste nel mostrarsi onesto, fedele, giudizioso e capace di servire utilmente il proprio amico, perché gli uomini amano naturalmente soltanto ciò che può esser loro utile. Orbene, quale vantaggio abbiamo nel sentir dire da un uomo che egli ha finalmente scosso il giogo, non crede in un Dio che veglia sulle sue azioni, si considera unico arbitro della propria condotta e non pensa di renderne conto se non a se stesso? Crede forse che così ci porti ad avere abbastanza fiducia in lui e aspettare da lui consolazioni, consigli e soccorsi in tutti i bisogni della vita? Pretendono costoro di averci molto rallegrato, col dirci che secondo loro la nostra anima è solo un poco di vento e di fumo, e col dircelo in un tono fiero e contento? È questa una cosa da dirsi allegramente? O non è invece una cosa da dirsi con tristezza, come la più triste cosa del mondo?

Se ci pensassero seriamente, si accorgerebbero che questo loro atteggiamento è così mal scelto, contrario al buon senso, opposto all’onestà, estremamente lontano da quella signorilità che essi cercano, che sarebbero capaci piuttosto di raddrizzare che non di corrompere coloro i quali avessero qualche velleità di seguirli. Difatti, se chiedete spiegazione dei loro sentimenti e dei motivi che li spingono a dubitare della religione, vi diranno cose così futili e volgari da convincervi del contrario. Proprio come molto giustamente diceva loro un tale: “Se continuate a parlare così, francamente mi convertirete”. E aveva ragione, perché chi non avrebbe orrore di avere dei sentimenti che sono comuni a persone così spregevoli?

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Per questo coloro che fingono di avere questi sentimenti sarebbero molto infelici a dover costringere il loro temperamento per diventare i più impertinenti tra gli uomini. Se nel fondo del loro cuore sono turbati di non avere abbastanza lume, non lo nascondano; una tale dichiarazione non sarà vergognosa. Non c’è vergogna se non nell’essere senza vergogna. Niente rivela maggiormente una estrema debolezza di mente quanto il non conoscere che cosa sia l’infelicità di un uomo senza Dio; niente denota maggiormente una cattiva disposizione del cuore quanto il non desiderare la verità delle promesse eterne; niente è così stupido quanto il fare il gradasso con Dio. Lascino dunque queste empietà a coloro che sono abbastanza malnati per esserne veramente capaci; siano almeno onesti se non possono essere cristiani, e riconoscano infine che esistono soltanto due categorie di persone che possono dirsi ragionevoli: quelle che servono Dio con tutto il loro cuore perché lo conoscono e quelle che lo cercano con tutto il loro cuore perché non lo conoscono.

Ma coloro che vivono senza conoscerlo e senza cercarlo, si giudicano da sé così poco degni di interessarsi di loro stessi, che non sono degni neanche dell’interessamento degli altri, e bisogna possedere tutta la carità della religione che essi disprezzano per non disprezzarli al punto da abbandonarli alla loro follia.

Ma poiché questa religione, fino a che essi sono in questa vita, ci obbliga a considerarli sempre capaci della grazia che li può illuminare e a credere che in breve tempo possono essere pieni di fede più di noi, e che al contrario noi possiamo cadere nell’accecamento in cui essi si trovano, dobbiamo fare per essi quello che vorremmo si facesse per noi se fossimo al loro posto, e invitarli ad avere pietà di loro stessi e a fare almeno qualche passo per tentare di trovare un po’ di luce. Dedichino alla lettura qualcuna di quelle ore che impiegano inutilmente in altre cose; e anche se vi si dedicano controvoglia, forse potranno trovare qualcosa o, per lo meno, non ci perderanno molto. Ma coloro che vi si dedicano con una sincerità perfetta e con un vero desiderio di incontrare la verità, spero che troveranno soddisfazione e si convinceranno delle prove di una religione tanto divina […]”.

Fonte: La Casa di Miriam Torino

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