La Vera Religione

La Vera Religione

S. Agostino

Dal libro di sant’Agostino, “De vera religione”,

tr. it. a cura di A. Pieretti, Città Nuova, Roma 1994, cfr. pp. 51-61

[…] 13.26. “Contro coloro che sono stati santificati, neppure l’angelo malvagio, che è chiamato diavolo, potrà alcunché; anche lui, del resto, non è malvagio in quanto angelo, ma in quanto si è pervertito per propria volontà. Se infatti solo Dio è immutabile, bisogna ammettere che anche gli angeli sono mutevoli per natura; tuttavia per quella volontà, per la quale amano più Dio che se stessi, restano fissi e stabili in Lui e godono della sua maestà, sottomessi a Lui soltanto in modo completamente libero. L’angelo malvagio invece, amando più se stesso che Dio, non volle essergli sottomesso e, gonfio di superbia, si allontanò dalla somma essenza e cadde. In tal modo è inferiore rispetto a quello che fu, perché volle godere di ciò che era inferiore quando volle godere della propria potenza piuttosto che di quella di Dio. Infatti, anche se il suo essere non era al sommo grado, perché solo Dio è in sommo grado, tuttavia era maggiore quando godeva di colui che è in sommo grado. Ora, tutto ciò che è inferiore rispetto a quello che era è male, tuttavia non in quanto è, ma in quanto è inferiore, e appunto per questo, cioè in quanto inferiore di quello che era, tende alla morte. Che c’è dunque da meravigliarsi se dall’allontanamento proviene la privazione e dalla privazione l’invidia, per la quale il diavolo è proprio il diavolo?

14.27. Se questo che si dice peccato, si impadronisse dell’uomo contro la sua volontà, come la febbre, di certo apparirebbe ingiusta la pena che ne scaturisce per il peccatore e che si chiama dannazione. Il peccato però è a tal punto un male volontario che non sarebbe assolutamente un peccato se non fosse volontario. E la cosa è così evidente che trova il consenso sia dei pochi dotti sia della folla degli incolti. Pertanto è giocoforza negare che si commette peccato oppure bisogna ammettere che lo si commette con la volontà. D’altro canto, non c’è possibilità di negare che l’anima abbia peccato quando si riconosca che essa si emenda con il pentimento, che è perdonata se si pente, e che è giustamente condannata secondo la legge di Dio se persevera nel peccare. Insomma, se non facciamo il male volontariamente, non dobbiamo essere né rimproverati né ammoniti; ma, se si prescinde da tutto questo, non ha più ragione di esistere la legge cristiana e ogni disciplina di religione. Dunque, è con la volontà che si pecca. E, poiché non c’è dubbio che si pecca, non vedo nemmeno come si possa dubitare che le anime possiedono il libero arbitrio della loro volontà. Dio infatti ha giudicato migliori fra i suoi sudditi quelli che lo hanno servito liberamente, il che non sarebbe potuto in nessun modo avvenire se essi lo avessero servito non per volontà, ma per necessità.

14,28. Dunque gli angeli servono Dio liberamente e ciò non è di giovamento a Dio, ma a loro stessi. Dio infatti non ha bisogno del bene di un altro: poiché è, dipende da se stesso. La medesima cosa vale anche per chi è stato generato da Lui, in quanto non è stato creato, ma generato. Gli esseri creati invece hanno bisogno del bene di Dio, che è il bene supremo, vale a dire l’essenza suprema. E se per il peccato dell’anima tendono verso di Lui in misura minore, essi diventano inferiori a quello che erano; pur tuttavia non se ne separano del tutto, altrimenti cesserebbero definitivamente di essere. Ciò che accade all’anima in rapporto alle sue affezioni, accade al corpo in rapporto ai luoghi; l’anima infatti si muove per la volontà, il corpo invece nello spazio. In merito a quello che si dice dell’uomo, cioè che fu persuaso da un angelo perverso, occorre aggiungere che egli vi acconsentì con la volontà, giacché, se lo avesse fatto per necessità, non sarebbe colpevole di alcun peccato.

Ippona - Basilica S. Agostino

15.29. Il fatto poi che il corpo dell’uomo, che era ottimo nel suo genere prima del peccato, sia divenuto debole e destinato alla morte dopo il peccato, sebbene rappresenti la giusta punizione del peccato, tuttavia mostra più la clemenza che la verità del Signore. In tal modo infatti ci convinciamo che dobbiamo abbandonare i piaceri del corpo e rivolgere il nostro amore all’eterna essenza della verità. Ed è la giustizia nella sua bellezza, in armonia con la benignità nella sua grazia, che fa sì che, dopo essere stati tratti in inganno dalla dolcezza dei beni inferiori, veniamo ammaestrati dall’amarezza dei castighi. La divina Provvidenza, infatti, ha disposto le nostre pene in modo che, pur con questo corpo tanto soggetto a corruzione, ci è consentito di mirare alla giustizia e, deposta ogni superbia, di sottometterci all’unico vero Dio, senza contare affatto su noi stessi, ma affidandoci a Lui solo, perché ci governi e ci custodisca. Così, sotto la sua guida, l’uomo di buona volontà trasforma le molestie di questa vita in uno strumento di fortezza; nell’abbondanza dei piaceri e nel felice esito delle sue vicende temporali mette alla prova e consolida la sua temperanza; nelle tentazioni perfeziona la prudenza, non solo per non cedere ad esse, ma anche per divenire più vigile e più ardente nell’amore per la verità, che è la sola che non inganna.

16.30. Dio provvede alle anime in tutti i modi, a seconda delle circostanze che la sua meravigliosa sapienza ha predisposto; di questi però non dobbiamo trattare, oppure dobbiamo farlo soltanto tra uomini pii e perfetti. Tuttavia, non si è mai preso cura del genere umano con maggiore generosità di quando la stessa Sapienza di Dio, cioè l’unico Figlio consustanziale e coeterno al Padre, si degnò di assumere la natura umana nella sua interezza, e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14). Così infatti ha mostrato agli uomini carnali, incapaci di cogliere la verità con la mente, perché schiavi dei sensi, quale elevata posizione la natura umana occupi tra le creature, dal momento che è apparso agli uomini solo sotto forma visibile (cosa che avrebbe potuto fare anche in un corpo celeste adattato al grado di tolleranza della nostra vista), ma anche nelle vesti di un vero uomo: bisognava infatti che assumesse proprio la stessa natura che doveva liberare. E, affinché nessuno dei due sessi ritenesse di essere stato disprezzato dal suo Creatore, assunse l’aspetto di uomo e nacque da una donna.

[…] 16.32. In tal modo, attraverso la natura umana che si era degnato di assumere, tutta la sua vita sulla terra fu un insegnamento morale. La sua resurrezione dai morti, poi, mostrò a sufficienza come niente cada perduto della natura dell’uomo, poiché Dio salva tutto, e come tutto serva al Creatore, sia per punire i peccati, sia per liberare l’uomo, e quanto è facile per il corpo servire l’anima quando questa è sottomessa a Dio. In virtù di questo compimento, non solo nessuna sostanza è male (il che è assolutamente impossibile), ma non è neppure colpita da alcun male, in quanto ciò può accadere a causa del peccato e della sua punizione. Questo è l’insegnamento relativo all’ordine naturale delle cose, che è assolutamente degno di piena fede per i cristiani meno dotti e privo di errori per quelli più dotti.

17.33. Il metodo stesso di tutto l’insegnamento, che ora è diretto e ora ricorre a similitudini nell’uso delle parole, dei fatti e dei sacri riti, ma che comunque è appropriato per ogni esercizio formativo dell’anima, non risponde forse alla norma di un insegnamento di tipo razionale? Infatti anche la presentazione dei misteri si riconnette alle verità enunciate in modo assolutamente chiaro. Ma non si tratta soltanto di cose che si comprendono molto facilmente, altrimenti la verità non sarebbe cercata con amore e non si proverebbe piacere a trovarla. E se nelle Sacre Scritture non vi fossero riti, che non fossero segni della verità, non vi sarebbe sufficiente accordo tra l’azione e la conoscenza. Ora, però, siccome la pietà ha inizio dal timore e giunge a compimento nella carità, per questo al tempo della schiavitù, cioè sotto l’antica legge, il popolo era tenuto a freno dal timore e oppresso con molti precetti rituali. Ciò infatti gli era utile perché desiderasse la grazia di Dio, che i Profeti annunciavano come prossima a venire. E quando essa venne, poiché la Sapienza stessa di Dio, che ci ha chiamati alla libertà, assunse l’umanità, furono istituiti pochi riti di piena e assoluta salvezza, allo scopo di tenere unita la comunità del popolo cristiano, ossia la moltitudine libera sotto un unico Dio. Invero molte delle cose che erano state imposte al popolo ebreo, ossia alla moltitudine schiava sotto il medesimo unico Dio, furono abolite nella pratica e sono restate solo oggetto di fede e di interpretazione. Così esse ora non ci legano più come servi, ma formano l’animo mediante l’esercizio della libertà”.

Fonte: La Casa di Miriam Torino

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