[nggallery id=7]
c. Il Cristo integro e totale come nucleo di senso per l’uomo
L’autorità di Cristo e l’autocoscienza che Egli stesso possiede di tale autorità, sono un punto fondamentale della ricerca teologica di Guardini relativamente all’essenza cristiana. Il teologo italo-tedesco per natura metodologica tende ad uno sguardo d’insieme, alla sistematicità, come lui stesso asserisce in merito alla propria formazione accademica: “… (a quel tempo) dovevo lavorare da un punto di vista storico, ma il mio interesse si rivolgeva a questioni sistematiche”[1]; guarda ai concetti chiave, scruta la realtà in una prospettiva sintetica, senza tuttavia dimenticare la contestualità storica e la geografia argomentativa delle proprie posizioni. Del resto “la parola trascende il momento storico […] Ogni parola umana di un certo peso reca in sé una rilevanza superiore all’immediata consapevolezza che può avere avuto l’autore del momento”[2], ed in virtù di questa consapevolezza Guardini è entrato nel merito dell’essenza del Cristianesimo proprio in una prospettiva d’insieme, con un taglio personalistico-esistenziale, rispetto all’esistenza storica di Cristo, cogliendo di Lui e “rivendicando in pieno, come elemento essenziale, proprio quello che von Harnack sembrava escludere, cioè l’importanza della persona di Gesù”[3].
Visto guardinianamente, pertanto, il Cristianesimo non ha nulla in comune con ciò che possiedono nella loro essenza le altre religioni, e la stessa dimensione del religioso risulta profondamente ridimensionata quanto a una sua possibile applicazione al Cristianesimo. La categoria del giudizio cristiana, rileva Guardini con riferimento a Kant, è la stessa persona di Cristo, e questo presuppone naturalmente la condizione della fede. L’“Io-sono” con cui Cristo afferma se stesso interloquisce pertanto in maniera incontrovertibile con l’“io-sono” del cristiano, il quale mediante tale relazione vivente con Cristo non è più “il polo opposto” di Dio. La persona di Cristo è perciò l’unico concetto possibile per il Cristianesimo, rispetto al quale ne rappresenta la funzione categoriale; la visione di Nietzsche, secondo il quale Dio sottrae all’uomo lo spazio dell’esserci, la pienezza dell’umanità, costringendo l’uomo stesso a postularne la non-esistenza, viene in Guardini ribaltata alla radice, laddove essa riduce a mera struttura logica ciò che proprio per essenza, come si è visto sopra, è trans-strutturale, cioè Gesù Cristo come categoria singolare. Tutto ciò deriva tuttavia non da un’immediata adesione di fede alla Rivelazione, pur essendo questa stessa la fonte di comprensione della figura di Cristo, bensì da un atteggiamento diametralmente opposto a quello modernista, descritto in apertura di questa trattazione, e che assume i contorni paolini di colui che “pensando il Cristianesimo” può pervenire a una precisa presa di coscienza: “So a chi ho consacrato la mia fede” (2Tm 1,12). Come afferma lo stesso Guardini, “perché il nostro intimo di credenti possa pervenire a tanto, è necessario che sia stato scosso dalla sua presenza divina, che senta la vibrazione della sua singolarità”[4]. Un essere scosso, quello di Guardini, che equivale al riconoscimento della propria inattitudine alla scalata solitaria delle pareti del Cristianesimo, alla maniera modernista, senza cioè la guida di Cristo medesimo che è sostanza di vita per il cristiano: “E’ la sua essenza che fede o ripulsa incontrano”[5].
Voler cogliere Cristo con i presupposti storicistici è per Guardini un sentiero destinato a ridurne l’immensità, la singolarità categoriale, “sgretolandola in pezzi e bocconi”[6] e rendendo frammentaria e astratta l’unità fondamentale del suo insegnamento. Se il Nuovo Testamento è certamente la fonte privilegiata del riconoscimento di Cristo, esso non va accolto prescindendo da ciò che l’ha ispirato, ovvero l’incontro dei discepoli con il Cristo risorto e sotto l’illuminazione pentecostale. L’indagine storica, che guarda scrupolosamente ai testi, ne esamina il variare della lingua, ne perimetra tutte le possibili sfumature concettuali, analizza il tempo storico, osserva le infiltrazioni culturali, le possibili antinomie e contraddizioni, insomma agisce sul Nuovo Testamento “così come una relazione riguardante Giulio Cesare”[7], è costretta a racimolare della propria indagine soltanto una precaria raffigurazione di colui del quale con tanto zelo stava investigando, cioè il Gesù di Nazareth dei Vangeli, nella misura in cui tale ricerca non è inserita nella comunione di fede prodotta dallo Spirito di Cristo, che libera “da tutte le determinazioni dello spazio, del tempo e delle remore terrene”[8]. E’ in questa prospettiva che per Guardini tutto ciò che è cristiano risulta legato alla persona di Cristo, per cui lo stesso divenire cristiani, come si vedrà nella seconda parte di questa tesi, equivale ad un personalizzarsi in Cristo, ad un esistere in lui, il quale è egli stesso l’unico parametro, la sola norma decisiva, l’ineliminabile elemento di Mediazione che permette sia di “pensarlo”, sia di “comprenderlo”, sia finalmente di “aderire in lui” nell’atto e nell’esistenza di fede: “Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede” (1Gv 5,4).
L’indagine storica di Gesù, così come quella psicologica, viene secondo Guardini ad incappare prima o dopo sulla soglia del mistero, sino ad esserne inghiottita[9]. Gesù Cristo non deriva infatti dal mondo, non può essere dedotto dall’ambiente, non può nemmeno essere rapportato statisticamente ad un insieme, o immerso in un gruppo di altri esemplari a lui simili. Tale strada è quella che Guardini, confutandola, asserisce quale “mitica”, inverosimile, poiché innesta il Cristianesimo su un terreno che non gli è proprio, finendo presto o tardi con il rinunciare, evitandola, alla “vera decisione, rifugiandosi nel campo di ciò che è universalmente umano”[10]. Ciò che invece permette il vero incontro con Cristo è proprio quella tanto agognata decisione che consiste unicamente nell’atto di fede, “la partecipazione al cuore di Cristo” (Fil 1,8), lo spazio in cui penetra la verità vivente di Cristo, il Logos, e questo non “impulsivamente”, si potrebbe dire “fideisticamente”, bensì sempre attraverso quel processo così radicato nell’insegnamento di Guardini che è il “pensare il Cristianesimo”, ricevendo da Cristo stesso i criteri del giudizio, “in modo tale che è reale ciò che è reale a partire da Cristo […] Giusto o sbagliato è ciò che corrisponde o contraddice al suo criterio di misura”[11]. Tutto ciò in virtù dello Spirito Santo, artefice di tale pensiero di Cristo nell’uomo, secondo il criterio di Verità, a partire da nessun altro presupposto che non sia, appunto, “il Cristo integro e totale” che ci fa veri ascoltatori della Parola.
Su questa base l’uomo riceve lo svelamento del senso della propria esistenza, l’autocomprensione cristiana di se stesso, poiché “solo il messaggio e l’opera di Cristo ha dato al credente quel suo posto che da un lato non è vincolato nel mondo, dall’altro agisce in esso, e con quel posto una libertà che non poteva prima essere realizzata”[12].
Fonte: Francesco Gastone Silletta – La Casa di Miriam (Tesi di Licenza Teologia Dogmatica) –
[1] IDEM, Appunti per un’autobiografia (1943-45), Morcelliana, Brescia 1986, p. 29. Questa auto-analisi che Guardini fa del proprio metodo, potrebbe risultare implicitamente come una risposta a coloro che lo accusavano di non dare una sistematicità alle proprie opere, considerato che Guardini scrive questi appunti autobiografici in età avanzata e dopo aver pubblicato già molte delle sue opere. Forse la mancanza di “sistematicità” che gli è stata talora rimproverata, riguardava in realtà la sua poca disposizione storico-critica, da lui stesso ammessa, e la sua avversione verso le discipline metodiche: “Non ho mai avuto molta sensibilità per le discipline, e questa era una buona disposizione, che mi ha permesso di percorrere la mia strada libero da barriere disciplinari” (Ivi, p. 24). Su questo tema, cfr. supra, nota n. 84.
[2] RATZINGER J., Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, p. 16.
[3] GUARDINI R., L’essenza del Cristianesimo, op. cit., v. “Nota del traduttore”, p. 85.
[4] IDEM, La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento, op. cit., p. 15.
[5] Ivi, p. 27.
[6] Ivi, p. 22.
[7] Ivi, p. 23.
[8] Ivi, p. 40.
[9] Cfr. IDEM, La realtà umana del Signore. Saggio sulla psicologia di Gesù, op. cit., p. 131.
[10] Ivi, p. 142.
[11] IDEM, La Rivelazione, la sua essenza e le sue forme (1940), in GUARDINI R., Opera omnia, vol. II/I, op. cit., p. 454.
[12] IDEM, Libertà, grazia e destino, op. cit., p. 80.