Il bene dal male

“Il bene dal male”

Maria Valtorta 2

Dal libro di Maria Valtorta, “Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani”,

2ª ed., Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri (Frosinone) 2008, pp. 233-235

“Essere giusti col prossimo è ancora più difficile che essere amanti di Dio. Perché Dio è buono ed è facile amare chi è buono. Dio è conforto ed è facile amare chi conforta e consola. Dio è sostegno ed è facile amare chi sostiene. Dio è perdono ed è facile amare chi perdona. Ma il prossimo è sovente cattivo, ingiusto, pronto ad addolorare e ad aumentare il vostro dolore con le sue incomprensioni, ostinazioni, derisioni e durezze, facile ad abbandonarvi se siete oppressi o infelici, quando non si fa complice di chi già vi opprime per opprimervi ed addolorarvi ancor più, duro a perdonare anche quando si ritenne ingiustamente offeso o danneggiato da voi mentre voi siete innocenti, durissimo poi a perdonare quando è provata la vostra colpa. Amarlo è quindi difficile.

Ma è detto: “Amate coloro che vi odiano e sarete figli dell’Altissimo”. Perché? Perché avrete il perfetto amore. La più grande somiglianza e immagine con Dio. Anzi, così come ogni figlio assume la vita che il padre gli trasmette per seme, e incancellabili sono, o nel sangue, o nell’aspetto, o nel carattere, oltre che nel nome, le eredità fisiche paterne, così voi, se assumete il principale degli Attributi di Dio, quello che è la sua essenza, assumete in voi la Vita stessa di Dio, vivete per Lui e in Lui e ne divenite veri figli, non per uguaglianza di natura e sostanza, ma per soprannaturalizzazione della creatura che così diviene divinizzata per partecipazione relativa alle azioni di Dio Uno e Trino e per somiglianza, facendo ciò che Egli fa da sempre: amando.

Dio lo dice a Mosè: “Avrò misericordia … avrò compassione …”. Ma non ha inizio da quel momento la sua misericordia e compassione. Benché unite a divina giustizia, esse sono già vive nell’Eden, davanti ai due prevaricatori, condannati nel tempo col lavoro, il dolore, la fatica, l’esilio, la morte, ma perdonati per l’eternità con la promessa della Redenzione e mediante la Redenzione.

Anzi, di più: la misericordia e compassione sono vive da prima che vivesse l’uomo, la cui colpa futura non era ignorata dal suo Creatore. E questo, di aver creato l’uomo per dare ad esso il Cielo e la figliolanza e somiglianza divina, e di averlo creato conoscendolo già destinato ad essere, di propria volontà, un peccatore, un ribelle, un prevaricatore, un ladro, omicida, violento, bugiardo, concupiscente, sacrilego, idolatra – tutte le male tendenze umane essendo presenti, per condiscendenza umana, in lui, nell’uomo che doveva essere santo – e di averlo soprattutto creato sapendolo capace di uccidere una volta il suo Verbo, che per l’uomo aveva assunto l’Umanità, e ferirlo volte innumerevoli, quante sono i granelli di rena che costituiscono il fondo dei mari, coi suoi peccati, dalla sua venuta redentiva alla fine dei secoli, dà la misura esatta dell’infinita misericordia e compassione di Dio.

Egli guardava ab eterno il suo Verbo, e il suo eterno Pensiero pensava a tutte le cose che per il Verbo avrebbe creato; giubilando ammirava nel suo pensiero le innumerevoli bellezze e meraviglie della Creazione, che per il Verbo sarebbero state fatte al giusto momento. Ma nel contempo il Padre delle luci vedeva quel poema creativo, tutto luce e bontà, macchiarsi di una macchia deturpatrice, venefica, origine di ogni colpa e sciagura.

Come colui che si ferma ammirato a contemplare un luogo di delizie, tutto balsami e fiori, pure acque e canti di uccelli, e poi freme di orrore vedendo da esso uscire un velenoso e aggressivo serpente che rompe, morde e uccide piante e animali, e corrompe acque e fiori, così il Padre del Verbo e dell’uomo, contemplando ab eterno il futuro serpente attaccare, corrompere, avvelenare ogni cosa, portarvi il dolore; vide l’uomo decaduto, vide Caino uccisore di Abele, figura all’altro Caino (Israele) che avrebbe ucciso il novello Abele: il suo Verbo.

Maria Valtorta Tomba

Dio no. Dio sa tutto, Ma la sua misericordia e compassione non muoiono né illanguidiscono. Anzi nascono proprio per questa conoscenza eterna, ed ab eterno decretano che, poiché l’Uomo e gli uomini saranno peccatori, omicidi della loro parte eterna e dei fratelli, per farli di nuovo “vivi”, “figli”, “coeredi”, occorre sacrificare il Figlio. Egli sarà il Figlio dell’Uomo, l’Adamo fedele e santissimo, l’Abele e l’Agnello immolato dai Caini deicidi. E dalla Colpa prima e dalla Colpa seconda – quella dell’Eden e quella del Tempio – verrà la Redenzione. E Dio sarà compassionevole e misericordioso con chi vorrà. Ossia con tutti coloro che, alla loro volta, vorranno, con buona volontà, essere “figli di Dio” avendo accolto con amore il Cristo e seguito e praticato i comandi e insegnamenti della Parola Divina. Sempre Dio trae bene da tutte le cose. Trasse il bene della Redenzione, misura della Carità Divina che è infinita e perfettissima, dalla Colpa di Adamo. Trasse la conferma della sua infinita Potenza, Giustizia, Bontà, dall’ostinazione del Faraone verso gli ordini divini che Mosè, suo servo, trasmetteva al monarca egizio, il quale conobbe così – per le piaghe che colpirono l’Egitto, lo sterminio dei primogeniti e degli Egizi nel mar Rosso – che Dio è il Signore, e lo conobbe il Popolo di Dio che, per i prodigi, fu confermato nella sua fede nel Dio Unico, nel suo Dio.

Trasse dalla colpa d’Israele, crocifissore del suo Verbo Incarnato, la beata certezza della Risurrezione della carne e della Gerusalemme eterna, dove ascendono gli spiriti dei giusti e dove poi si riunirà la carne dei giusti ai loro spiriti, per una vita eterna di gaudio.

Da tutto il Buonissimo trae buone cose. Solo necessita che l’uomo, con la sua volontà, che deve essere buona, sappia trarre il suo bene da tutto quanto Dio fa. Come? Col non ribellarsi, col non allontanarsi dal Padre dei Cieli se la sua mano è gravosa e il suo calice amaro.

Voi siete peccatori. Tutti. Anche i più buoni, imperfetti sono. Gesù era innocente, santo, perfetto. Eppure il Padre gli gravò sopra tutta la soma delle colpe degli uomini perché la consumasse sul Golgota e gli presentò il calice più amaro, amaro di tutte le amarezze e di tutti i disgusti: da quella dell’abbandono del Padre, al dolore della Madre, al tradimento dell’amico e apostolo, alla viltà degli altri apostoli, al rinnegamento del suo Cefa, all’ingratitudine del suo popolo. Nessuno tra gli uomini ha portato e porterà la soma, né berrà il calice che schiacciò e amareggiò il Cristo: l’Innocente.

Sappiate quindi imitarlo. Nella sua perfetta buona volontà, nella sua ubbidienza santissima, per trarre il vostro bene, da tutto quanto Dio permette vi accada per prova vostra e per premio vostro”.

Fonte: La Casa di Miriam Torino

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