Meditazione alla Casa di Miriam – Da un brano del Qoelet:

Meditazione notturna alla Casa di Miriam del 21 marzo 2019 – Da un brano del Qoelet:

 

“Il saggio ha gli occhi in fronte,
ma lo stolto cammina nel buio.
Ma so anche che un’unica sorte è riservata a tutti e due. […] Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto”
(Qo 14.16b)

L’autore sacro, in quello che in molti interpretano come un pessimismo esistenziale, lo sconsolato lamento di un uomo per cui nulla pare avere una ragione di per se stessa, in realtà si manifesta, nel brano che questa sera meditiamo, un acuto interprete della realtà, pur attraverso un linguaggio ed uno stile suoi propri che in un certo senso ombreggiano di velata malinconia quanto egli stesso espone. Vi sono infatti due realtà fondamentali nel suo monito. La prima riguarda la diversità specifica fra la natura di colui che è saggio (avere gli occhi in fronte, cioè la capacità di vedere dinanzi a sé secondo il retto ordine di verità), mentre lo stolto cammina nel buio (è cioè paragonato ad un cieco che non può mantenere per questo l’autogoverno del proprio incedere).
Ciò che parrebbe un’osservazione abbastanza “normale” per quella che è nel suo insieme la trama biblica, dove in altri contesti, antico e neotestamentari, appare lo stesso sottofondo di senso generale, in realtà si caratterizza per una considerazione importantissima, non “poetata”, non “metaforizzata”, ma resa nuda e cruda nella sua verità: “Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto”. Ora, per non essere frainteso, questo brano deve essere purificato da una interpretazione erronea, quasi che l’autore tutto sommato esortasse a concedersi quella “spensierata stoltezza”, tipica del mondo di allora come di quello odierno, alla luce del fatto che, stolti o saggi, si debba comunque morire. No. Il fatto che “un’unica sorte sia riservata a tutti e due”, non significa affatto che una scelta valga l’altra. Significa piuttosto che non è soggettivo il termine verso il quale l’esistenza umana tende e rispetto al quale essa acquisisce un senso. La vita deve rendere conto di se stessa, in bene o in male, al di là delle disposizioni del soggetto. Non è questi a dare il ritmo del proprio esistere, ad infondere in se stesso vita e continuità esistenziale, ma un Altro, capace di irrompere improvvisamente a cavallo fra le pagine dell’esistenza più diversificate ed ivi stabilire il termine corsa, un nuovo orientamento finale. E dunque?
Lo stolto e il saggio avranno certo una comune destinazione in senso ultimo, ma tale comunione non riguarda l’uniformità del giudizio, che sarà semmai molto distinta per l’uno e per l’altro in base alla virtù o al ripiegamento su se stesso operato dal soggetto.
Soggettiva rimane dunque unicamente l’estrinsecità del vissuto, cioè quanto attiene le decisioni personali rispetto a quanto è invece oggettivo, estrinseco a sé, la vita in quanto tale nel suo limite temporale.
Il Qoelet, quindi, in modo molto fine ci esorta in questo brano a saper discernere dove sapienza e stoltezza conducono, in ultima analisi, il soggetto non tanto da un punto di vista della fine, che è comune per entrambi, ma del giudizio, che terrà conto della caratterizzazione propria dell’uno o dell’altro stato esistenziale.
Padre nostro, Ave Maria, Gloria, Credo
Amen

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Pubblicato da lacasadimiriam

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