Quante volte trasgrediamo il comandamento di non tentare Dio?
Molte delle nostre preghiere, spesso, non sono altro che questo: una tentazione posta a Dio. Una tentazione affinché se davvero Egli è Dio (pensiamo noi), allora si manifesti, con un segno prodigioso, talvolta addirittura un segno che danneggi un nostro fratello con il quale non andiamo d’accordo. Domandiamo cose umane, secondo principi e per fini umani, ed anche qui tentiamo Dio, nella sua divinità, che non può accomodare certe nostre pretese. E persino la partecipazione alla celebrazione eucaristica può tradursi in un nostro misero “mettere alla prova Dio”, nella sua pazienza, a motivo della nostra inadeguatezza spirituale e comportamentale. Esigiamo che Dio assecondi le nostre richieste, secondo i nostri tempi e volontà; pretendiamo il suo perdono – che ci ha meritato la passione di suo Figlio – anche quando il nostro pentimento non è che un’infatuazione transitoria, se non addirittura un superstizioso approccio al ministero della confessione. Vogliamo che i nomi dei nostri defunti siano ben citati nella celebrazione, nome e cognome, quasi che Dio avesse bisogno di questo per donar loro, si spera, la vita eterna. Ci teniamo che la gente ci veda mentre siamo a Messa, che ci veda leggere o che ci senta cantare, e la nostra attenzione è posta più sul giudizio degli uomini che su quello di Dio.
E se non siamo accontentati subito nei nostri capricci, allora offendiamo Dio in tanti modi, fino addirittura talvolta a dubitare della sua esistenza. Se diamo un soldo a un povero (lo sia o non lo sia davvero), abbiamo bisogno che ci noti qualcuno, per riceverne le lodi umane.
Gesù misericordioso, abbi pietà di noi! Tu sei morto fra sofferenze atroci, e noi siamo totalmente indegni di ciò che hai fatto per noi.
Salva la tua Chiesa, Gesù! Salva noi che ci diciamo tuoi fedeli!
Amen
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