Un’esistenza memore – di S. Giovanni Paolo II

“Un’esistenza «memore»” – di S. GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo 2005 – La Casa di Miriam studi

5. «Hoc facite in meam commemorationem». Queste parole di Gesù ci sono state conservate, oltre che da Luca (22,19), anche da Paolo (1 Cor 11,24). Il contesto nel quale sono state pronunciate – è bene tenerlo presente – è quello della cena pasquale, che per gli ebrei era appunto un « memoriale » (zikkarôn, in ebraico). In quella circostanza gli israeliti rivivevano innanzitutto l’Esodo, ma con esso anche gli altri eventi importanti della loro storia: la vocazione di Abramo, il sacrificio di Isacco, l’alleanza del Sinai, i tanti interventi di Dio in difesa del suo popolo. Anche per i cristiani l’Eucaristia è «memoriale », ma lo è in una misura unica: non ricorda soltanto, ma attualizza sacramentalmente la morte e la risurrezione del Signore.
Vorrei inoltre sottolineare che Gesù ha detto: «Fate questo in memoria di me». L’Eucaristia dunque non ricorda semplicemente un fatto: ricorda Lui! Per il sacerdote ripetere ogni giorno, in persona Christi, le parole del «memoriale» costituisce un invito a sviluppare una «spiritualità della memoria». In un tempo in cui i rapidi cambiamenti culturali e sociali allentano il senso della tradizione ed espongono specialmente le nuove generazioni al rischio di smarrire il rapporto con le proprie radici, il sacerdote è chiamato ad essere, nella comunità a lui affidata, l’uomo del ricordo fedele di Cristo e di tutto il suo mistero: la sua prefigurazione nell’Antico Testamento, la sua attuazione nel Nuovo, il suo progressivo approfondimento, sotto la guida dello Spirito, secondo l’esplicita promessa: «Egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26).
6. «Mysterium fidei!». Con questa esclamazione il sacerdote esprime, dopo ogni consacrazione del pane e del vino, lo stupore sempre rinnovato per lo straordinario prodigio che si è compiuto tra le sue mani. E’ un prodigio che solo gli occhi della fede possono percepire. Gli elementi naturali non perdono le loro esterne caratteristiche, giacché le « specie » restano quelle del pane e del vino; ma la loro « sostanza », per la potenza della parola di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo, si converte nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo. Sull’altare è così presente « veramente, realmente, sostanzialmente » il Cristo morto e risorto nell’interezza della sua umanità e divinità. Realtà eminentemente sacra, dunque! Per questo la Chiesa circonda di tanta riverenza questo Mistero, e attentamente vigila perché siano osservate le norme liturgiche poste a tutela della santità di così grande Sacramento.
Noi sacerdoti siamo i celebranti, ma anche i custodi di questo sacrosanto Mistero. Dal nostro rapporto con l’Eucaristia trae il suo senso più esigente anche la condizione « sacra » della nostra vita. Essa deve trasparire da tutto il nostro modo di essere, ma innanzitutto dal modo stesso di celebrare. Mettiamoci per questo alla scuola dei Santi! L’Anno dell’Eucaristia ci invita a riscoprire i Santi che hanno testimoniato con particolare vigore la devozione all’Eucaristia (cfr Mane nobiscum Domine, 31). Tanti sacerdoti beatificati e canonizzati hanno dato, in questo, una testimonianza esemplare, suscitando fervore nei fedeli presenti alle loro Messe. Tanti si sono distinti per la prolungata adorazione eucaristica. Stare davanti a Gesù Eucaristia, approfittare, in certo senso, delle nostre « solitudini » per riempirle di questa Presenza, significa dare alla nostra consacrazione tutto il calore dell’intimità con Cristo, da cui prende gioia e senso la nostra vita […]”.

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